Vent'anni fa il disastro che mise fine al progetto visionario del Concorde

- di: Brian Green
 
25 luglio 2000. È una giornata caldissima a Parigi. L'aeroporto De Gaulle è un brulicare di persone, che si mettono ordinatamente in fila per imbarcarsi o, dopo essere scese da un aereo, con pazienza aspettano di potere recuperare i bagagli e correre a prendere un taxi.
In moti stanno con la faccia incollata alle lunghe vetrate che danno sulle piste, come sempre accade, per assistere al decollo del Concorde. Quello che sta rullando sulla pista ha la livrea della British Airways.

Gli spettatori guardano, affascinati, l'aereo col muso che cambia inclinazione e lo fa somigliare ad un rapace che si libra in cielo in attesa di piombare sulla preda. Il volo è diretto a New York, con l'arrivo previsto dopo una manciata di ore.

Oltre all'equipaggio, a bordo ci sono cento passeggeri, che hanno pagato fior di denaro per godere dell'ebrezza di scavalcare l'oceano in poche ore. L'aereo, dopo avere seguito con lentezza il tragitto per raggiungere la pista, si ferma con i motori che salgono di potenza. Poi, piano piano, il bellissimo mostro volante comincia la sua ricorsa, sotto gli occhi ammaliati di chi assiste allo spettacolo. I metri vengono divorati dai motori del Concorde che, al massimo della velocità a terra, lo portano a sollevarsi. È un attimo: una fiammata si impossessa dell'aereo, facendolo precipitare e non lasciando scampo a chi vi si trovava a bordo ed anche a quattro persone a terra.

Un disastro aereo che non solo ha scritto un capitolo dolorosissimo dell'aviazione civile, ma ha anche segnato la fine di un sogno visionario, quello di collegare le due sponde dell'Atlantico in poche ore, abbattendo la barriera del suono e, con essa, il concetto che le distanze restano tali anche se si percorrono in un tempo minore. Poco più di tre anni dopo la tragedia, il Concorde fece l'ultimo volo, sulla tratta New York-Londra, con il suo carico di magnati della finanza e abituali frequentatori di Hollywood.

Un sogno che si spense, ma non repentinamente, come si poteva pensare per effetto del disastro, ma per motivi economici, perché i voli - che pure si sapeva essere costosi per una clientela che voleva volare oltre la barriera del suono -, con l'aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, erano ormai sempre più riservati ad una clientela ristretta. La sola che poteva spendere undicimila dollari (di quel tempo) per coprire il tragitto tra due mete sulle sponde dell'Atlantico ad una velocità di 2.100 chilometri all'ora ed in circa tre ore e mezzo.

Quello che doveva essere l'aereo che avrebbe rivoluzionato tutto, ebbe vita molto breve, almeno secondo i parametri temporali dell'aviazione civile, una trentina d'anni dai primi voli (quelli ufficiali cominciarono il 21 gennaio 1976, sulla tratta Parigi-Rio de Janeiro). Un prodigio della tecnica, ma che affrontò, praticamente da subito, una serie di problemi. A cominciare dal rumore. Dai motori, potentissimi, si alzava un rumore molto forte, tanto che ne fu vietato l'atterraggio al JFK di New York per inquinamento acustico, dando un colpo mortale all'idea dei costruttori anglo-francesi, che miravano ad una clientela che nella “grande Mela” era di casa.

Un fallimento? No, perché dal varo del progetto del Concorde l'aviazione civile ha dovuto riconsiderare il suo rapporto non solo con la clientela, ma anche con l'ambiente, perché se il cosiddetto “aereo uccello” fu messo a terra anche per l'inquinamento, questo ha condizionato le scelte successive in materia di risparmio energetico e, quindi, abbassamento delle emissioni.
Ora qualcuno ricomincia a pensare ad un ritorno al supersonico. Lo stanno facendo negli Stati Uniti, anche se non si sa se sia solo una ricerca di visibilità che un progetto serio.
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