Un’economia che non crolla ma perde slancio tra consumi, lavoro e costi.
(Foto: Jerome Powell, presidente della Fed)
Il nuovo Beige Book pubblicato dalla Federal Reserve il 26 novembre 2025 descrive
un’economia statunitense che procede a passi corti. L’attività complessiva, raccontano i dodici Distretti della Fed,
è rimasta sostanzialmente invariata rispetto a metà ottobre: niente freno brusco, ma neppure
quel ritmo di espansione che per anni ha alimentato il mito della locomotiva americana.
Nel quadro tracciato dai funzionari regionali prevale una parola: cautela.
Le imprese osservano con attenzione l’evoluzione dei dazi e del quadro politico, le famiglie stringono
la cinghia su molte voci di spesa e il mercato del lavoro mostra una prima, lieve crepa dopo mesi di piena occupazione.
Consumatori più prudenti: la fascia media taglia la spesa, il lusso resiste
La prima crepa arriva dai consumi. La spesa complessiva delle famiglie è scesa ancora rispetto
al precedente rapporto: il rallentamento è particolarmente visibile nella fascia media, quella che negli ultimi anni
ha sostenuto la domanda di beni durevoli e servizi. Molti operatori segnalano una maggiore attenzione al prezzo,
rinvii negli acquisti importanti e un utilizzo più intenso di sconti e promozioni.
In parallelo, il segmento del retail di fascia alta rimane sorprendentemente solido.
Gioielli, orologi, moda e beni di lusso continuano a registrare vendite stabili, a conferma di una
polarizzazione sempre più netta tra chi può permettersi di spendere e chi è costretto a selezionare
ogni euro o dollaro alla cassa.
Non aiuta il recente shutdown del governo federale, che ha avuto un impatto psicologico
sulla fiducia dei consumatori, soprattutto nelle aree con forte presenza di dipendenti pubblici.
In diversi Distretti si segnala una maggiore prudenza nella spesa discrezionale: ristorazione, viaggi,
intrattenimento. Un banchiere regionale sintetizza così il sentiment raccolto sul territorio:
“I consumi non crollano, ma le famiglie stanno diventando molto più selettive”, osserva,
indicando come il clima sia passato dall’euforia alla gestione attenta del portafoglio.
Auto ed elettrico in frenata dopo la fine del credito d’imposta
Tra i settori sotto pressione c’è l’automotive. I concessionari riportano un calo nelle vendite
di veicoli elettrici dopo la scadenza del credito d’imposta federale, che aveva sostenuto il boom
degli ultimi anni. Senza l’incentivo fiscale, una parte della domanda si è semplicemente spostata in avanti:
molti privati stanno aspettando nuovi modelli, prezzi più competitivi o la possibile introduzione di
misure di sostegno diverse.
L’auto tradizionale tiene meglio, ma non è immune al clima di incertezza: i tassi ancora elevati e il costo
complessivo del credito auto spingono molti acquirenti a posticipare la sostituzione del veicolo o a scegliere
fasce di prezzo inferiori.
Turismo e viaggi: nessun crollo, ma la spesa discrezionale rallenta
Nel turismo e nei viaggi il Beige Book non registra grandi scossoni: i flussi
restano sostanzialmente stabili rispetto ai mesi precedenti. Tuttavia, diversi operatori segnalano un cambiamento
nel comportamento dei clienti: soggiorni più brevi, maggiore attenzione alle tariffe e un uso più intenso
delle cancellazioni gratuite.
Per molte famiglie la vacanza non è ancora un tabù, ma viene organizzata con rigore, riducendo gli extra,
scegliendo destinazioni meno costose o privilegiando periodi fuori alta stagione. In altre parole,
la voglia di viaggiare non è sparita, ma si scontra con il pressing di prezzi in aumento
e redditi che non corrono alla stessa velocità.
Industria e servizi: manifattura in lieve rialzo, servizi sotto pressione
Nel complesso, l’attività manifatturiera mostra un leggero miglioramento in diversi Distretti.
L’aumento è però definito “modesto” e non basta a dissipare le preoccupazioni legate ai dazi
e alle incertezze sulla domanda globale. La fragilità delle catene di fornitura e il rincaro di alcuni
componenti continuano a comprimere i margini.
I servizi non finanziari appaiono più fragili: molte imprese segnalano ricavi stabili
o in lieve calo. Consulenza, logistica, servizi alle imprese e parte del commercio all’ingrosso faticano a
trasferire sui clienti l’aumento dei costi, e in diversi casi scelgono di comprimere i margini pur di non
perdere commesse.
Mercato del lavoro: meno assunzioni, più turn over e l’ombra dell’intelligenza artificiale
Il mercato del lavoro rimane formalmente robusto, ma i segnali di cambio di fase sono evidenti.
L’occupazione è leggermente diminuita da metà ottobre e circa metà dei Distretti segnala una domanda di lavoro
più debole. Le imprese non hanno avviato ondate di licenziamenti, ma stanno scegliendo una strada più silenziosa:
blocchi delle assunzioni, sostituzioni solo per ruoli indispensabili e riduzione delle ore lavorate
rispetto al passato.
In diversi casi la regolazione avviene tramite il turn over naturale: quando un dipendente se ne va,
l’azienda semplicemente non lo sostituisce, oppure redistribuisce le mansioni tra il personale esistente.
Alcune imprese segnalano che l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale ha reso più
produttivi i lavoratori già in organico, riducendo la necessità di nuove assunzioni soprattutto nei ruoli
di ingresso e nelle posizioni ripetitive.
In questo contesto, un responsabile delle risorse umane citato nel rapporto nota:
“Non stiamo licenziando in massa, ma abbiamo smesso di correre per assumere chiunque:
ora pesiamo ogni posizione”, spiegando come l’asticella per entrare in azienda si stia alzando
dopo anni di carenza cronica di manodopera.
Salari moderati, ma i costi del lavoro continuano a salire
Dal lato dei salari, il Beige Book parla di aumenti in media “moderati”.
La corsa vista negli anni immediatamente successivi alla pandemia si è spenta, anche se alcuni comparti
continuano a segnalare pressioni: manifattura, costruzioni e
sanità faticano ancora a trovare personale specializzato e sono costretti a offerte più generose.
Anche dove le buste paga crescono meno, i costi del lavoro non smettono di salire.
Le imprese lamentano soprattutto l’aumento dei premi di assicurazione sanitaria,
delle utenze e dei servizi tecnologici: voci che pesano in maniera sempre più rilevante sui bilanci
e che lasciano poco margine per nuovi aumenti retributivi diffusi.
Prezzi e dazi: pressioni diffuse sui costi e margini compressi
Il Beige Book segnala che i prezzi sono aumentati in modo moderato
da metà ottobre, ma con un elemento chiaro: le pressioni sui costi degli input sono ampie e diffuse,
soprattutto nel manifatturiero e nel retail.
Molti operatori attribuiscono gli incrementi in buona parte ai dazi, che hanno reso più
costose materie prime, componenti e prodotti finiti.
Non tutti, tuttavia, riescono a trasferire questi rincari ai clienti. L’ampia concorrenza in alcuni settori,
la sensibilità dei consumatori al prezzo e la paura di perdere quote di mercato inducono molte imprese
a assorbire una parte dei costi. Il risultato è una crescente compressione dei margini,
che nel medio periodo potrebbe frenare investimenti e assunzioni.
In parallelo, per alcuni materiali si registrano anche calo dei prezzi,
attribuiti alla domanda debole o al rinvio nell’applicazione di certi dazi.
Il quadro complessivo è però tutt’altro che rassicurante: guardando avanti,
molti contatti della Fed prevedono che le pressioni sui costi continueranno,
mentre i piani di nuovi aumenti dei listini restano disomogenei e spesso rinviati.
Cosa può fare la Fed: tra timore di recessione e paura di un’inflazione di ritorno
Con un’economia che appare ferma ma non in recessione, e con prezzi che crescono meno
del picco inflazionistico ma ancora in modo fastidioso per famiglie e imprese,
la Federal Reserve si trova davanti a un bivio. Il Beige Book, in assenza di alcuni dati
macro ritardati dallo shutdown, diventa la bussola principale per il prossimo incontro di dicembre.
Da un lato, il rallentamento dei consumi e la minore domanda di lavoro alimentano le richieste di un
primo taglio dei tassi per evitare un raffreddamento eccessivo dell’economia nel 2026.
Dall’altro, le pressioni sui costi e l’effetto ancora incompiuto di dazi e shock energetici spingono
i falchi a temere una nuova fiammata dei prezzi, nel caso in cui la politica monetaria diventasse
troppo accomodante troppo presto.
Come spesso accade, il Beige Book non dà risposte definitive, ma racconta un Paese sospeso:
imprese e famiglie attendono le prossime mosse della banca centrale prima di decidere se tornare a correre
o se prepararsi a un periodo più lungo di stagnazione.
Un 2026 di attesa: economia non in crisi, ma in equilibrio precario
La conclusione che emerge tra le righe è chiara: gli Stati Uniti non sono in una crisi dirompente,
ma l’era del boom facile sembra finita. I consumatori si muovono con prudenza,
le imprese investono con il contagocce, il lavoro resta relativamente solido ma meno brillante di un anno fa.
In questo scenario, ogni decisione di politica monetaria della Fed può fare la differenza tra un semplice
rallentamento e un vero cambio di ciclo.
Il 2026 si profila dunque come un anno di attesa: in bilico tra la possibilità di una ripartenza,
se le condizioni globali miglioreranno e i dazi verranno gestiti in modo meno aggressivo,
e il rischio di una lunga fase di crescita fiacca. Per ora, il Beige Book fotografa un’America
che procede in folle: non arretra, ma neppure accelera.