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Il Sud corre (però il lavoro è povero), ma i giovani scappano ancora

- di: Marta Giannoni
 
Il Sud corre (però il lavoro è povero), ma i giovani scappano ancora
Il Sud corre ma i giovani scappano ancora
Pil e occupazione crescono grazie ai fondi pubblici, ma salari bassi, lavoro povero, fuga dei talenti e penalizzazione delle donne mettono in crisi il diritto di restare nei territori del Mezzogiorno.
 
(Foto: Adriano Giannola, presidente della Svimez).

Il Mezzogiorno torna a crescere più del resto d’Italia. Ma intanto si svuota. Il nuovo Rapporto Svimez 2025 su economia e società del Mezzogiorno, presentato a Roma, racconta un Sud che corre in termini di Pil e posti di lavoro, ma non riesce a trattenere i suoi giovani né a garantire retribuzioni dignitose a chi decide di restare.

Tra il 2021 e il 2024 il Pil meridionale è aumentato più rapidamente di quello del Centro-Nord, spinto da investimenti pubblici senza precedenti, Pnrr e bonus edilizi. È una ripresa misurabile nei dati, ma fragile nella sostanza: una parte importante della nuova occupazione si concentra in settori a basso valore aggiunto, con salari bassi, contratti precari e poche prospettive di crescita.

La crescita che non ferma l’esodo dei giovani

Il paradosso più evidente riguarda gli under 35. Negli ultimi tre anni il lavoro per i giovani è effettivamente aumentato: a livello nazionale si contano centinaia di migliaia di occupati in più, di cui circa 100mila nuovi posti al Sud. Eppure, nello stesso periodo, 175mila giovani meridionali hanno lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi al Centro-Nord o all’estero.

Non è soltanto mobilità fisiologica. Una quota consistente di chi parte è formata da laureati e profili altamente qualificati: il Sud investe in istruzione e università, ma il ritorno economico di questo capitale umano si manifesta altrove. Gli economisti stimano una perdita annua di miliardi di euro tra minori consumi, gettito fiscale che si sposta e competenze che producono reddito in altri territori.

La fotografia è netta: il Mezzogiorno crea più lavoro, ma non il tipo di lavoro che convince a restare. Molti giovani trovano occupazione in turismo, ristorazione e servizi stagionali, con retribuzioni modeste e carriere discontinue. In queste condizioni, la scelta di partire non è una fuga romantica: è una decisione economica razionale.

Il presidente della Svimez, Adriano Giannola, ha sintetizzato la questione con parole che suonano come un avvertimento: “Finché il Sud offrirà soprattutto occupazione povera, la scelta di restare non sarà davvero libera”. Un Sud che cresce ma non trattiene i suoi talenti non è ancora su un sentiero di sviluppo vero e duraturo.

Lavoro povero e salari in caduta: la trappola del reddito

Dietro l’esodo generazionale si allarga la frattura salariale. Dal 2021 in avanti, i salari reali hanno perso potere d’acquisto in tutta Italia, ma la caduta è più marcata nel Mezzogiorno. Il risultato è un aumento molto forte del fenomeno dei working poor, persone che lavorano ma restano sotto la soglia di dignità economica.

Nel Sud si contano oltre un milione di lavoratori poveri, che rappresentano metà del totale nazionale. La quota di occupati che, pur avendo un impiego, non raggiungono un reddito sufficiente è quasi tre volte quella del Centro-Nord. In parallelo cresce il numero di famiglie in povertà assoluta, spinto da una combinazione di retribuzioni basse, contratti temporanei, part-time involontari e nuclei con pochi percettori stabili di reddito.

Il messaggio che arriva dai dati è inequivocabile: la crescita del Pil non si traduce automaticamente in miglioramento delle condizioni di vita. Se il lavoro non basta a uscire dalla povertà, il patto sociale su cui si regge un’economia di mercato entra in crisi. Nel Mezzogiorno questo rischio è già realtà quotidiana.

Donne, famiglia e lavoro: il doppio spreco del capitale umano femminile

Un altro capitolo critico è quello della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le donne meridionali continuano a essere tra le più penalizzate d’Europa, nonostante in media studino di più, si laureino prima e con voti migliori rispetto agli uomini della stessa età.

Il tasso di occupazione femminile senza figli è sensibilmente più alto al Nord che al Sud. Nel Mezzogiorno la situazione precipita quando arriva la maternità: lavora una minoranza delle donne con uno o due figli, mentre per le madri con tre o più figli l’occupazione scende attorno a un terzo della popolazione in età da lavoro.

Non è soltanto una scelta personale. La Svimez segnala la combinazione di servizi di cura insufficienti, welfare locale debole e offerta di lavoro concentrata in settori poco compatibili con i tempi di vita familiare. Il risultato è un doppio spreco: da un lato, capitale umano femminile altamente formato che resta ai margini del mercato; dall’altro, famiglie costrette a vivere con un solo reddito, più esposte a vulnerabilità e povertà.

In molti territori del Sud, la vera linea di frattura non è più solo il titolo di studio, ma la condizione familiare: essere madre equivale troppo spesso a pagare un prezzo altissimo in termini di opportunità lavorative.

Pnrr, investimenti e rischio di “fiammata” senza continuità

La parte più brillante del quadro macroeconomico è rappresentata da Pnrr e investimenti pubblici, che hanno innescato una crescita significativa nel Mezzogiorno. I cantieri per infrastrutture, rigenerazione urbana, servizi sociali e transizione energetica hanno generato domanda di lavoro e spinto verso l’alto Pil e occupazione.

Ma la stessa Svimez mette in guardia: si tratta di una spinta temporanea. Le previsioni indicano che il Sud continuerà a crescere, nel breve periodo, più del Centro-Nord, ma una volta esauriti i fondi straordinari la dinamica rischia di invertirsi. Senza un rafforzamento delle politiche ordinarie, il Mezzogiorno potrebbe ritrovarsi alla fine di questa stagione con molte opere realizzate, ma senza un vero cambio di passo nella struttura produttiva.

È questo il senso dell’appello a “consolidare i risultati del Pnrr”: trasformare i progetti finanziati in infrastrutture che cambiano davvero il modo di vivere, lavorare e fare impresa, e non in una semplice parentesi espansiva destinata a chiudersi con la fine dei fondi.

Il “right to stay”: dal lessico europeo alle scelte concrete

Nel dibattito sul futuro del Mezzogiorno emerge sempre più spesso l’espressione “right to stay”, il diritto a poter restare nella terra che si considera casa senza essere costretti a partire dalla mancanza di opportunità. È un tema che ha fatto il suo ingresso anche nell’agenda europea, in occasione di iniziative come la European Week of Regions and Cities e nei documenti sulla nuova programmazione dei fondi strutturali.

Il ministro per gli Affari europei e la Coesione, Raffaele Fitto, ha definito così l’obiettivo politico: “Il right to stay, il diritto di poter restare nei territori che si considerano casa, è una priorità dell’Unione europea e il cuore delle nuove politiche di coesione”. Non si tratta solo di fermare l’emigrazione, ma di mettere le persone nella condizione di scegliere se partire o restare senza essere schiacciate da vincoli economici.

Ma i numeri del Rapporto Svimez mostrano quanto sia ancora ampio il divario tra la retorica del “diritto di restare” e la realtà. Finché il Sud continuerà a offrire salari più bassi, carriere più fragili e servizi meno accessibili, il right to stay resterà un principio proclamato nei documenti, ma fragile nella vita delle persone.

Tre cantieri politici per un Mezzogiorno che sceglie il proprio futuro

Dai dati e dalle analisi emergono almeno tre cantieri politici decisivi, se si vuole trasformare l’attuale ripresa in sviluppo duraturo.

Primo: salari e contrattazione. La perdita di potere d’acquisto dei salari reali nel Mezzogiorno non è una fatalità, ma il frutto di un equilibrio che ha scaricato l’inflazione sui lavoratori. Serve una stagione di rafforzamento dei minimi salariali, contrasto ai contratti pirata e rinnovi contrattuali più tempestivi. Senza un netto miglioramento delle retribuzioni, il Sud resterà competitivo solo sul costo del lavoro, una strada che alimenta il lavoro povero e non la crescita di qualità.

Secondo: qualità dell’occupazione giovanile. Creare nuovi posti di lavoro per i giovani non basta, se quei posti restano confinati nei segmenti più fragili del mercato. La sfida è spostare l’asse verso industria innovativa, filiere verdi, economia digitale, ricerca e servizi avanzati, in grado di offrire percorsi professionali solidi. In assenza di questa svolta, i giovani continueranno a vedere altrove l’unico futuro possibile.

Terzo: servizi per famiglie e donne. I numeri sull’occupazione femminile dicono che senza una rete robusta di asili nido, servizi di cura, tempo pieno scolastico e welfare territoriale il capitale umano femminile resterà sottoutilizzato. Non è solo una questione di equità: ogni donna altamente formata che resta fuori dal mercato del lavoro è un pezzo di Pil futuro che si spegne.

Dopo il Pnrr, evitare l’ennesima occasione perduta

La storia del Mezzogiorno è costellata di riprese non consolidate. Il rischio è di ripetere lo schema: fase di investimenti straordinari, crescita superiore alla media nazionale, seguita da un nuovo rallentamento quando i fondi si esauriscono. Il Rapporto Svimez 2025 ricorda che questa volta l’errore sarebbe ancora più grave, perché il contesto globale è segnato da transizione energetica, competizione tecnologica e invecchiamento demografico.

Il direttore della Svimez, Luca Bianchi, ha sintetizzato la posta in gioco con un richiamo preciso: “La sfida è dare continuità al ciclo degli investimenti e migliorare la capacità di spesa delle politiche di coesione, soprattutto nel Mezzogiorno”. Tradotto: trasformare una stagione straordinaria in una politica di sviluppo ordinaria e stabile.

La scelta non è neutrale. O il Mezzogiorno diventa il laboratorio di un modello di sviluppo fondato su lavoro di qualità, salari dignitosi, servizi universali e innovazione radicata nei territori, oppure la fotografia del 2025 resterà l’ennesima istantanea di un Sud che cresce e intanto si svuota.

In quel caso, il richiamo al “right to stay” resterà un elegante esercizio di retorica istituzionale, mentre la realtà continuerà a prendere la forma di un biglietto di sola andata verso il Nord Italia o l’estero. È esattamente questo, oggi, il bivio politico del Mezzogiorno.

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