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Israele-Iran: nessun impatto duraturo sull’economia globale (per ora)

- di: Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
 
Israele-Iran: nessun impatto duraturo sull’economia globale (per ora)

La scorsa settimana i riflettori sono rimasti puntati su politica monetaria e geopolitica. Sul primo fronte, il Presidente Powell ha mitigato le aspettative di un imminente taglio dei tassi d’interesse da parte della Fed sottolineando che, mentre l’economia Usa resta solida, i progressi nel contenimento dell’inflazione procedono più a rilento del previsto. I mercati hanno reagito: il rendimento dei Treasury a 10 anni è tornato a salire, mentre i Future hanno cominciato a prezzare un solo taglio dei tassi negli Stati Uniti per quest’anno, rispetto ai sette previsti alla fine del 2023.

Israele-Iran: nessun impatto duraturo sull’economia globale (per ora)

I commenti di Powell hanno innescato il dibattito sul perché l'economia statunitense si stia dimostrando così resiliente. Sono state avanzate diverse possibili ipotesi, tutte probabilmente correlate tra di loro: la prima, come spiega Bloomberg, è che tassi più alti significano che le famiglie americane stanno ottenendo un rendimento sui loro risparmi per la prima volta dopo anni, riuscendo così a sostenere l’economia e a stimolare la domanda interna (nonostante il pensiero macroeconomico dominante ritenga che tassi elevati rallentino la crescita). La seconda spiegazione – che attinge dal rapporto semestrale sull'economia del Fondo Monetario Internazionale – è che l’attuale crescita Usa sia in realtà alimentata da spesa pubblica e incentivi fiscali, dunque un modello non sostenibile nel lungo periodo. Come è facilmente intuibile, il governo americano non sposa questa view, ma sembra ormai chiaro che non assisteremo a un cambiamento di politica fiscale, almeno non prima delle elezioni presidenziali. 

La situazione in Eurozona è un’altra: qui la crescita è più debole e l'inflazione più vicina all'obiettivo del 2%, per cui la BCE dovrebbe essere nella posizione di tagliare i tassi prima della Fed, con un conseguente miglioramento delle prospettive sulla crescita globale per il resto del 2024 e per il 2025. A metà strada tra Ue e Usa si trova il Regno Unito, dove la crescita resta anemica e l'inflazione al di sopra dell’obiettivo, seppure la prospettiva di un taglio dei tassi nel breve termine sia più probabile rispetto agli Stati Uniti.

Per quanto riguarda l’acuirsi del conflitto in Medio Oriente, nonostante i mercati finanziari abbiano la tendenza a trascurare le incertezze geopolitiche, la prospettiva di un’espansione delle ostilità non manca di sollevare preoccupazioni, soprattutto se si considerano due fattori di rischio. Il primo è il sentiment di mercato, poiché durante le crisi gli investitori liquidano gli asset rischiosi e investono in “beni rifugio”, come oro o titoli di Stato. Questo sentiment può cambiare rapidamente, in entrambe le direzioni. Il secondo è l'impatto macroeconomico, con il rischio di una crescita più lenta e di un’inflazione più elevata, trainata dalla combinazione di sentiment e pressioni sulla catena di approvvigionamento. 

La situazione attuale rimane molto incerta, ma è troppo presto per concludere che ci sarà un impatto a lungo termine sull'economia globale. La geopolitica sta complicando le prospettive a breve termine e ha pesato sull’andamento dei mercati negli ultimi giorni, oltre che sulle sfide che i policymaker si trovano a dover affrontare mentre ricercano il punto di equilibrio tra inflazione e crescita.

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