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Cina, il debito sale oltre il 120% del Pil: allarme Osservatorio CPI

- di: Jole Rosati
 
Cina, il debito sale oltre il 120% del Pil: allarme Osservatorio CPI
Il report firmato da Gilberto Turati ed Enrico Franzetti evidenzia un debito pubblico cinese ben più grave di quanto dichiarato da Pechino. Tra crescita in rallentamento, veicoli locali e finanza “nascosta”, la sostenibilità è a rischio.
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Un debito occulto che sfugge alle statistiche ufficiali
La Repubblica Popolare Cinese si presenta oggi con una finanza pubblica molto più fragile di quanto lascino intendere i dati ufficiali. È quanto emerge con chiarezza dal report dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI), un’analisi dettagliata a firma di Gilberto Turati, senior economist, ed Enrico Franzetti, junior economist, che getta luce sulle dinamiche reali del debito cinese. Mentre Pechino comunica un debito pubblico pari al 60,5% del Pil, il cosiddetto debito aumentato totale – che tiene conto anche delle passività accumulate dai Local Government Financing Vehicles (LGFV) – schizza al 124% già nel 2024, con una proiezione al 148,2% nel 2029, come puntualizza il report dell’Osservatorio.
Un divario enorme, che rivela l’esistenza di una massa di debito “nascosto”, escluso dal perimetro ufficiale ma economicamente rilevante. Come sottolineano Franzetti e Turati, la gestione della finanza pubblica in Cina non può essere compresa senza considerare questi veicoli, creati dagli enti locali per aggirare i limiti imposti dal governo centrale in tema di emissione di debito diretto.
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Crescita dimezzata e conti in discesa
Come ricorda l’Osservatorio CPI, tra il 2000 e il 2019 l’economia cinese cresceva a ritmi del 9% annuo. Oggi, questa traiettoria si è più che dimezzata: 4,8% nel periodo 2020–2024, con una previsione al 4% per il biennio 2025–2026, secondo il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale. Su questo rallentamento pesano le conseguenze della pandemia e soprattutto – come evidenzia l’indagine dell’Osservatorio – le tensioni commerciali con gli Stati Uniti, riaccese dall’amministrazione Trump attraverso nuovi dazi.
Come affermano Franzetti e Turati, è in questo contesto che si inserisce il deterioramento delle finanze pubbliche: deficit in crescita, disavanzo primario sempre più marcato, saldo strutturale costantemente negativo. Il deficit nominale è passato dal 3,1% dichiarato da Pechino al 7,3% stimato dal FMI, e secondo le proiezioni salirà fino all’8,6% nel 2025. Il saldo primario passerà da -6,4% a -7,3%, mentre il saldo strutturale resterà inchiodato a -8,1% nei prossimi due anni.
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La giungla dei debiti locali e il ruolo dei LGFV
Una delle principali criticità, secondo Franzetti e Turati, è rappresentata dalla struttura del settore pubblico cinese. Come evidenzia l’Osservatorio CPI, gli enti locali sostengono quasi l’85% della spesa pubblica, ma raccolgono solo poco più del 50% delle entrate, creando una tensione strutturale nei bilanci delle province e delle municipalità.
È proprio in questo squilibrio che si inseriscono i Local Government Financing Vehicles, strumenti utilizzati dagli enti locali per finanziare lo sviluppo urbano senza passare per il bilancio ufficiale. Come spiegano Franzetti e Turati, questi veicoli si finanziano prevalentemente con prestiti bancari e obbligazioni, spesso garantite da terreni, che vengono valorizzati grazie alle opere stesse finanziate dal debito. Un circolo vizioso, alimentato da incentivi perversi: crescita a tutti i costi, aggiramento dei vincoli di bilancio, e opacità nei flussi finanziari.
Fino al 2014, il debito dei LGFV era interamente considerato “fuori bilancio”. Solo successivamente, il National Audit Office ne ha riconosciuto due terzi come passività effettive degli enti locali. Includendole, si arriva al concetto di debito aumentato, che – come puntualizza il report dell’Osservatorio CPI – ridisegna completamente la mappa della sostenibilità fiscale cinese.
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Le dinamiche del debito e l’effetto “palla di neve”
Un elemento centrale dell’analisi di Turati e Franzetti è l’utilizzo della classica equazione della dinamica del debito per scomporre la variazione annuale del rapporto debito/Pil. La componente chiave è l’effetto snow-ball: finché il tasso di crescita economica supera il tasso d’interesse sul debito, il rapporto può restare stabile anche in presenza di deficit. Ma quando il disavanzo primario diventa strutturale e persistente – come accade oggi – l’effetto volano della crescita non basta più a contenere l’esplosione del debito.
Come evidenzia l’Osservatorio CPI, è dal 2015 in avanti che la dinamica cambia: impennata del debito nel 2016 e nel 2020, accelerazione post-Covid, e crescita delle passività non più compensata dalla crescita economica.
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Il piano di Pechino per disinnescare la mina
Il governo centrale è consapevole dei rischi. Come affermano Franzetti e Turati, nel novembre 2024 è stato annunciato un piano da 10.000 miliardi di yuan per gestire il debito dei veicoli locali. Il programma prevede un aumento dei limiti di indebitamento ufficiale, la conversione del debito LGFV in passività a lungo termine a tassi agevolati, e un’integrazione progressiva nei bilanci pubblici. Obiettivo: ridurre il debito dei LGFV a 2.000 miliardi entro il 2028, con un risparmio stimato di 600 miliardi di yuan sugli interessi.
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Sostenibilità fragile, ma non senza strumenti
Come puntualizza il report dell’Osservatorio CPI, la sostenibilità del debito dipende da molti fattori. Alcuni giocano a favore della Cina: il 95% del debito è in mani domestiche, l’esposizione in valuta estera è limitata, e il risparmio interno resta elevato. Tuttavia, il sentiero di consolidamento fiscale indicato dal FMI – una riduzione annua del saldo primario strutturale dello 0,7% del Pil fino al 2035 – appare impegnativo. Senza questo sforzo, il debito potrebbe superare il 200% del Pil entro il 2050, come ammonisce l’indagine.
Franzetti e Turati sottolineano come la vera sfida sia politica: mettere ordine nei conti locali, riformare la struttura delle entrate, eliminare incentivi perversi e ripensare la governance finanziaria tra centro e periferia.
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Una questione geopolitica di portata globale
Non è solo una questione cinese. Come ricordano gli autori del report dell’Osservatorio CPI, la Cina rappresenta il 17% del Pil mondiale. Un’escalation di instabilità fiscale avrebbe ripercussioni sistemiche, su mercati, tassi, capitali e approvvigionamenti globali. Se il debito resta sotto controllo, Pechino potrà giocare un ruolo di stabilizzazione; in caso contrario, le fragilità finanziarie interne potrebbero diventare un rischio globale.
La trasparenza, ammoniscono Franzetti e Turati, è il primo passo per affrontare la sfida. E la lettura dei conti pubblici della Cina richiede oggi – più che mai – di andare oltre le statistiche ufficiali.

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