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Trump scatena i dazi, Pechino tesse la tela del ragno con tre mosse: svalutazione, ritorsioni e un invito alle multinazionali americane

- di: Jole Rosati
 
Trump scatena i dazi, Pechino tesse la tela del ragno con tre mosse: svalutazione, ritorsioni e un invito alle multinazionali americane

La Cina attacca su tre fronti: svaluta lo yuan, lancia controdazi e invita le grandi imprese occidentali – incluse quelle statunitensi – a investire a Pechino. Guerra commerciale sempre più globale. E l’economia mondiale traballa.

(Foto: il presidente cinese Xi Jinping)

Il nuovo round di dazi imposti da Donald Trump ha ricevuto una risposta netta e articolata da parte della Cina. Non solo svalutazione della moneta e dazi di ritorsione: Pechino ora alza l’asticella e lancia un messaggio diretto alle grandi aziende globali, comprese quelle americane.Venite in Cina, qui gli affari si fanno e si fanno bene” è il nuovo mantra che rimbalza da Pechino a Shanghai, mentre il dragone si propone come rifugio stabile nel caos della geopolitica trumpiana.

Svalutazione dello yuan: mossa mirata per neutralizzare i dazi
Oggi la Banca centrale cinese (PBoC) ha fissato il cambio a 7,2066 contro il dollaro, il valore più debole dal settembre 2023. Sul mercato onshore, lo yuan è crollato fino a 7,3485, un chiaro segnale: Pechino accetta un deprezzamento controllato per sostenere la competitività delle sue esportazioni. Una scelta che ha subito acceso la reazione di Donald Trump: “La Cina manipola la sua valuta per aggirare i dazi. È una frode contro l’America”, ha tuonato durante una cena del National Republican Congressional Committee a Washington l’8 aprile.
Ma la Cina respinge le accuse. Secondo un portavoce del Ministero del Commercio, “Pechino si muove nel rispetto delle dinamiche di mercato e reagisce a misure ostili che mettono a rischio l’equilibrio globale”.

Ritorsioni commerciali: dazi al 34% sull’export americano
A stretto giro è arrivata la rappresaglia economica: un pacchetto di dazi del 34% su una larga fetta di importazioni statunitensi, compresi i beni agricoli, l’automotive, i microchip e i dispositivi biomedicali. “Non cerchiamo lo scontro – ha dichiarato il vicepremier He Lifeng – ma se ci viene imposto, lo affronteremo con ogni mezzo”.
Le nuove tariffe entreranno in vigore il 10 aprile, in parallelo con quelle americane. Il messaggio è chiaro: ogni azione protezionista riceverà una risposta simmetrica e calibrata.

Corteggiamento delle multinazionali: “Qui fate affari, non ideologia”
Ma la vera novità è la terza via scelta da Pechino: una campagna aggressiva per attrarre capitali internazionali. La Cina si propone come alternativa razionale e redditizia, soprattutto per quelle multinazionali americane che stanno pagando il prezzo della guerra commerciale.
Il premier Li Qiang, parlando alla China Development Forum di Pechino, è stato esplicito: “Apriamo le porte agli investitori stranieri. Le aziende americane sono le benvenute. Qui trovate un mercato stabile, previsioni certe, margini solidi. Qui si fa business, non guerra politica”.
Secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times, diversi colossi statunitensi nel settore automotive e farmaceutico starebbero valutando un ampliamento delle linee produttive in Cina per aggirare le barriere tariffarie di Trump. Il Ministero del Commercio ha promesso “pieno accesso al mercato, protezione della proprietà intellettuale e neutralità normativa”. In altre parole: “Venite da noi, lasciate perdere Washington”.

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