L'ipotesi di Draghi alla presidenza del Consiglio europeo scuote Bruxelles, ma anche Roma
- di: Redazione
Per scatenare una ridda di ipotesi (ma anche reazioni) è bastato che una fonte giornalistica, molto qualificata, ma che non sempre ci azzecca, ventilasse l'ipotesi che il nome di Mario Draghi era tra quelli maggiormente presi in considerazione per la presidenza del Consiglio europeo.
Cosa che, immancabilmente, accade quando, inaspettatamente, torna a fare capolino Mario Draghi, candidato da qualcuno ad incarichi di responsabilità.
Ma tra fare una ipotesi e trovare ad essa conferma non sempre i passaggi sono facili o molto chiari. Come in questo caso, in cui Draghi, per prestigio personale e per i suoi recenti trascorsi da primo ministro italiano, potrebbe essere un candidato forte per sostituire, almeno fino a novembre, Charles Michel che, in vista delle prossime elezioni europee, ha espresso l'intenzione di lasciare la carica anticipatamente rispetto alla scadenza naturale, lasciando un vuoto politico (molto relativo...) , ma soprattutto istituzionale.
L'ipotesi di Draghi alla presidenza del Consiglio europeo scuote Bruxelles, ma anche Roma
Dovendo individuare in tempi brevissimi un sostituto di Michel è chiaro che se ne deve trovare uno su cui, vista la particolarità della situazione si sta determinando, nessuno (oppure pochissimi) possano avere qualcosa da dire.
E quindi, chi mai potrebbe dire qualcosa su Mario Draghi e la sua innegabile capacità, laddove decidesse di accettare di reggere un incarico delicato proprio perché materializzatosi per un evento ''emergenziale'', quale l'addio anticipato dell'attuale presidente?
Eppure, anche se davanti alla stima generalizzata e, soprattutto, ad un cursus honorum che ben pochi eguali ha in Europa, un ipotetico cammino di Draghi verso la presidenza del Consiglio europeo potrebbe essere più difficoltoso di quello che la ragionevolezza dovrebbe indicare. Non perché qualcuno abbia qualcosa da eccepire sul Draghi ''civil servant'', ma solo perché la sua personalità potrebbe essere vista come potenzialmente ingombrante, conoscendone il carattere forte e il decisionismo che ha mostrato nella sua carriera.
Cerchiamo di chiarire questo passaggio, che rischia di essere determinante.
L'incarico a Draghi (che, comunque, per accettare crediamo pretenderebbe una amplissima convergenza sul suo nome) dovrebbe garantire all'istituzione una sorta di traghettamento autorevole fino a quando, orientativamente a novembre, spetterà alle forze politiche, e quindi ai giochi di alleanze e veti, indicare il successore di Michel.
Ma la domanda di fondo è su chi - laddove Draghi anche a Bruxelles dovesse raccogliere, intorno al suo operato, il plauso di tutti - si prenderà la responsabilità di chiedergli, con garbo ed educazione, di lasciare il suo ufficio.
Resta poi da vedere che impatto l'indicazione di Mario Draghi, laddove ufficializzata, potrebbe avere in Italia, il cui avvicinamento alle europee, come evidente anche in queste ore, sta dividendo i partiti, facendo emergere le divergenze di strategia.
Siccome, sebbene con procedure e cultura diverse, anche in Europa vige, pur se non riconosciuto ufficialmente, una sorta di ''manuale Cencelli'', l'eventuale nomina di Draghi, nel gioco di equilibri e contrappesi, potrebbe rendere meno agevole la intuibile aspirazione di Giorgia Meloni di avere un portafoglio importante per il commissario italiano. Ma, potrebbero eccepire gli altri Paesi, forse non è il caso di alzare le richieste, visto che il presidente del consiglio europeo è un italiano, sebbene con un orizzonte temporale non lungo.
Il Financial Times, il quotidiano che ha lanciato la notizia, sostiene che ''se da un lato l'ampio curriculum di Draghi gli garantirebbe una forte presenza al tavolo del vertice, dall'altro le sue posizioni schiette sulle politiche, tra cui l'integrazione fiscale, potrebbero irritare paesi come la Germania, che tradizionalmente hanno una visione opposta".