Gérard Depardieu è comparso ieri davanti al tribunale penale di Parigi. L’attore, tra i volti più noti del cinema francese e internazionale, è accusato di aggressioni sessuali ai danni di due donne che lavoravano con lui sul set di un film nel 2021. Rischia fino a cinque anni di carcere. Le presunte vittime, attrici e membri della troupe, hanno già fornito una ricostruzione precisa dei fatti. Oggi, come testimone a difesa, è attesa Fanny Ardant, collega, musa e amica storica dell’attore.
Depardieu a processo, oggi testimonia Fanny Ardant. Il cinema francese fa i conti con se stesso
Il processo si annuncia complesso, e simbolico. Non è solo Depardieu sotto accusa, ma un intero sistema culturale che per decenni ha legittimato, taciuto o minimizzato certi comportamenti in nome dell’arte, del carisma, del talento.
Una frattura nel mito
Depardieu è da sempre una figura ambivalente: monumentale sullo schermo, irrequieto nella vita. Ha incarnato ruoli leggendari – da Cyrano a Danton – e ha attraversato il cinema europeo con una forza che pochi attori possono vantare. Ma il tempo dell’immunità sembra finito.
Le accuse parlano di comportamenti invadenti, di contatti fisici indesiderati, di un uso del corpo e del potere non più giustificabile. Non è la prima volta che Depardieu si trova al centro di inchieste simili, ma questa volta c’è un’aula, ci sono prove, ci sono testimoni.
La difesa punta molto sulla testimonianza di Ardant. Il loro legame, anche professionale, è noto: hanno condiviso set, visioni, interviste, serate pubbliche e private. Fanny Ardant è da sempre considerata un’intellettuale libera, non omologata, capace di posizioni fuori dal coro. Ma proprio questa sua libertà fa discutere. Quali parole userà oggi per difendere il suo amico? E fino a che punto può spingersi senza sembrare cieca davanti alle accuse?
#MeToo arriva anche in Francia
Il processo Depardieu non è un caso isolato. Rientra in un’ondata più ampia di denunce e presa di parola che ha investito anche il mondo culturale francese, storicamente più riluttante a riconoscere l’impatto del movimento #MeToo. Dopo l’esplosione mediatica del caso Weinstein negli Stati Uniti nel 2017, molte figure pubbliche francesi reagirono con diffidenza. Nel 2018, una lettera aperta firmata da Catherine Deneuve e da altre intellettuali parlava apertamente di un “nuovo puritanesimo” e difendeva il diritto degli uomini di “importunare le donne”.
Ma qualcosa si è incrinato. Negli ultimi anni, anche in Francia le vittime hanno iniziato a raccontare. Il mondo del cinema, dell’editoria, dello sport, ha cominciato a fare i conti con testimonianze rimaste per anni nell’ombra. Il caso Depardieu è il primo, vero banco di prova per capire se anche il sistema francese è disposto a mettere in discussione i suoi totem.
Il peso del nome
La presenza di Depardieu in tribunale ha un peso simbolico enorme. È l’attore che ha attraversato mezzo secolo di storia culturale, che ha saputo essere popolare e sofisticato, volgare e struggente. Ma proprio il suo status rende il processo esemplare. È possibile processare un monumento? È possibile chiedere conto a chi è stato, per troppo tempo, considerato intoccabile?
La risposta non è solo nelle carte processuali, ma nell’opinione pubblica, nei media, nel mondo del cinema che osserva. Alcuni colleghi si sono detti scioccati, altri restano in silenzio. I festival lo hanno escluso, ma senza mai nominarlo esplicitamente. Intanto, la giustizia fa il suo corso.
La testimonianza di oggi, quella di Fanny Ardant, non sarà solo un contributo alla difesa. Sarà anche un gesto pubblico, una dichiarazione di campo. Per molti, sarà la prova del nove: capire se anche chi ha condiviso percorsi, film e passioni con Depardieu è disposto a vederlo per quello che potrebbe essere stato.
Perché, al di là della legge, resta la domanda più difficile: quando un mito cade, siamo pronti a guardare cosa resta sotto?