Dazi, Trump annuncia accordo con la Cina ma mente ancora sulle cifre
- di: Jole Rosati

Il patto è reale: minerali rari in cambio di visti per studenti. Ma Trump confonde i numeri e gonfia il bilancio dei dazi.
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L’accordo è fatto, ma i numeri non tornano
Donald Trump annuncia trionfante su Truth Social: “Il nostro accordo con la Cina è stato concluso, soggetto all’approvazione definitiva del presidente Xi e di me”. Un’intesa che prevede due scambi cruciali: la ripresa dell’export cinese di minerali rari verso gli Stati Uniti e lo sblocco dei visti per studenti cinesi nelle università americane.
Fin qui tutto chiaro. Ma quando si arriva ai dazi, Trump entra in un terreno scivoloso: “Otterremo complessivamente il 55% dei dazi dalla Cina e la Cina otterrà il 10%”, scrive. La dichiarazione ha immediatamente acceso dubbi e reazioni: le cifre non coincidono con i contenuti reali dell’intesa.
La realtà dell’accordo: 30% e 10%, come a Ginevra
Secondo fonti ufficiali riportate dal Wall Street Journal e confermate da un funzionario dell’amministrazione, l’accordo firmato a Londra non introduce nuove tariffe, ma si limita a confermare i livelli già stabiliti a Ginevra:
• 30% di dazi americani sul Made in China,
• 10% di dazi cinesi sulle esportazioni Usa.
Il famoso “55%” evocato da Trump è un artificio comunicativo. Come chiarito dal Segretario al Commercio Howard Lutnick in un’intervista a CNBC, si tratta della somma di più tariffe già esistenti:
• 25% imposto nel primo mandato,
• 20% aggiunto nel 2024 su fentanyl e derivati,
• 10% universale applicato a tutte le importazioni da gennaio scorso.
Il risultato? Nessun cambiamento sostanziale sul piano tariffario. Solo una confezione nuova per una realtà già nota.
Trump crea confusione, i mercati restano freddi
Il linguaggio vago e celebrativo usato dal tycoon ha provocato perplessità anche tra gli osservatori finanziari. Bloomberg ha parlato apertamente di “linguaggio confuso e poco chiaro”. E i mercati non si sono lasciati ingannare: nessuna euforia, nessun rally.
L’impressione diffusa è che Trump cerchi di trasformare un compromesso tecnico in una vittoria politica, utile a rilanciare la sua immagine. Ma l’apparenza non basta: la sostanza è che l’accordo, seppur importante, non rivoluziona i rapporti economici tra le due superpotenze.
Minerali rari e università: cosa c’è davvero in gioco
A rendere concreta l’intesa, sono due elementi chiave:
1. Il ripristino dell’export cinese di minerali rari (come neodimio, disprosio, lantanio), essenziali per tecnologie di punta, batterie, difesa e auto elettriche. Dopo mesi di blocco, Pechino torna a fornire un asset vitale per la manifattura americana.
2. La riapertura dei visti per studenti cinesi, un gesto distensivo dopo anni di chiusure. “Usano i nostri college e università, cosa che mi è sempre piaciuta!”, ha scritto Trump. Un ritorno alle origini, dopo che proprio la sua amministrazione aveva limitato ingressi, fondi e permessi.
Le due misure, sommate, rappresentano una tregua strategica, più che un nuovo inizio.
La retorica sopra i fatti
“Con il presidente Xi lavoreremo insieme per aprire la Cina al commercio americano”, ha dichiarato Trump. “Sarà una grande vittoria per entrambi i Paesi”.
La realtà, però, è più cauta: i dazi non sono stati abbassati né alzati, i flussi commerciali restano sotto controllo, e il vero obiettivo sembra politico più che economico.
Un patto utile, certo. Ma che Trump ha gonfiato numericamente e comunicato in modo distorto. A farne le spese è la credibilità del confronto: perché se le cifre non tornano, la fiducia – in diplomazia – non si ricostruisce con i post.