Crisi: il Paese non merita questa rappresentazione della politica

- di: Diego Minuti
 
Da oggi l'Italia della pandemia, delle aziende che chiudono, dei ristoranti che non rialzeranno più le saracinesche, come sta accadendo per molti altri negozi al dettaglio, si rituffa nel cromatismo dell'incertezza. Con un solo punto fermo: la speranza che tutto questo bailamme di ordinanze, di decreti del presidente del consiglio o decreti legge, decisioni delle Regioni o dei sindaci veda presto la fine con il progredire dei numeri della campagna di vaccinazione.
Che, mi pare, sia stata accolta con scetticismo ed invece sta andando avanti, sia pure davanti alle mille difficoltà che la macchina organizzativa deve affrontare, anche per le misure di conservazione che sono imposte dal vaccino della Pfizer.

Ma alcune migliaia di vaccini somministrati ogni giorno sono una goccia nel mare e, quel che è forse più incomprensibile, non si riesce ad esaurirne le scorte, per troppe lungaggini organizzative.
Anche se, ripetiamo, forse non si poteva fare di più, pur restando il sospetto che la corsa contro il tempo non sia efficace come si vorrebbe.
Se comunque la lunga strada della vaccinazione di massa è partita, il Paese reale, quello della vita di tutti i giorni, resta nella più totale indeterminatezza perché il Governo ed i suoi consulenti sembrano adottare le giuste misure dal punto di vista sanitario, ma non riescono a fare altrettanto per andare incontro alla drammatica situazione di vasti settori dell'economia italiana.
Assistere allo spettacolo che ci stanno riservando Conte e Renzi (con le rispettive claque) è avvilente, non tanto per quello che dicono - ciascuno con una parte di ragione -, ma perché sembrano non avvedersi che, mentre loro continuano a beccarsi, il mondo che li circonda crolla.

È una questione di difficile ricerca di un equilibrio quella che siamo costretti ad affrontare. Da un lato c'è il presidente del Consiglio che, forse, non provenendo dalla politica, non accetta il concetto che certe delicatissime decisioni non possono essere prese da lui e soltanto da lui; dall'altro c'è Matteo Renzi che, pur chiedendo una cosa in fondo giusta (non essere costretto a votare a scatola chiusa un provvedimento che non ha potuto nemmeno discutere a livello di contenuti), sta giocando una partita rischiosissima, non per lui, ma per il Paese, per soddisfare il suo ego prima ancora che tutelare gli interessi dell'Italia.
E mentre Conte e Renzi si confrontano come due galletti, sfidandosi per vedere chi farà il primo vero passo indietro, l'Italia torna a dividersi in zone che segnano anche una spaccatura economica tra regioni "liberalizzate" e quelle sotto stretta sorveglianza.

È un gioco rischiosissimo dove si confrontano non due modi di fare politica (Renzi la fa, Conte la utilizza), ma due personalità che si alimentano autoreferenziandosi. Il che è il male assoluto per chi, come noi, è sempre più vicino al baratro.
Se si vanno a leggere le cronache della crisi in altri Paesi ci si accorge che, anche dove la situazione è drammatica dal punto di vista sanitario, c'è una certa coesione nell'ambito delle forze politiche che non lesinano critiche, per come è nella dialettica tradizionale, ma non cercano di sfruttare la situazione per meri interessi di bottega.
In Francia, ad esempio, l'opposizione critica il Governo (aggiungerei, giustamente) per gli incredibili ritardi nell'avvio della macchina delle vaccinazioni, ma non ne chiede le dimissioni, consapevole che non ci potrebbe essere momento peggiore per un vuoto di potere amministrativo prima ancora che politico.

Da noi invece il tutto si riduce a chiedere a Conte di andare via dicendo "noi siamo pronti a governare", come se potrebbe esistere una opposizione che dicesse: "restate, perché noi non ce la sentiamo".
Politica di bassa lega (senza riferimento specifico al partito d'opposizione). Certo è, comunque, che il timore è quello di una lunghissima agonia del Governo, dilaniato come mai prima, da una contrapposizione perenne che è tra uomini, ma soprattutto tra ideologie, ma anche di convenienza.

Se non ci fossero più le condizioni perché Conte resti, la fine della sua esperienza coinciderebbe con nuove elezioni. Una ipotesi fortemente avversata dai Cinque Stelle, che sanno benissimo che una eventuale consultazione elettorale ne potrebbe dimezzare la rappresentanza parlamentare. Quindi oggi difendono a spada tratta Conte, anche se appare difficile che le sue mosse da primo ministro siano accettate convintamente da tutti i grillini, almeno quelli che parlavano di democrazia diretta e che ora si ritrovano in presidente del Consiglio che ritiene di decidere tutto lui: dai contenuti ai tempi.
Ma, come abbiamo già detto, la politica è un'altra cosa.
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