Riforma della Giustizia? No, ''solo'' dell'ordine giudiziario
- di: Diego Minuti
Pensare che qualcuno, solo perché si è mette sulle spalle la toga da magistrato dopo avere prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica, dimentichi passioni, pulsioni, rancori e simpatie è negare la natura stessa dell'Uomo, che è fatta di pensieri liberi.
Per questo definire l'intervento del Consiglio dei Ministri sulla materia dell'amministrazione della Giustizia come una riforma è forse una forzatura. Lo diciamo perché la materia è talmente complessa da rendere necessario essere oggettivi sulla portata delle novità. Modifiche apportate ad alcune regole di un corpo giudiziario che da troppo tempo si nutre di autoreferenzialità, oltre che - per alcuni magistrati - anche del piacere di stare costantemente davanti ai riflettori, che si pretende restino sempre accesi su di loro, quasi che il referente sia l'opinione pubblica e non la Giustizia.
Giustizia: il Consiglio dei ministri approva all'unanimità la riforma del Csm
L'aspetto che più colpisce l'opinione pubblica di una riforma complessa è il fatto che, d'ora in avanti, i magistrati che entrano in politica, una volta eletti o magari da sconfitti, non potranno fare il percorso inverso.
Una cosa che occorreva fare molto tempo fa e non certo per preconcetta mancanza di fiducia nei confronti di chi, magistrato, potrebbe essere esposto alla seduzione della politica. O al quale sia stato prospettato d'essere cooptato in qualche ''cerchio magico'', in virtù dei meriti accumulati nel corso della sua carriera o anche solo per rapporti amicali.
Un ''vai e vieni'' che non poteva, ieri come oggi, trovare ospitalità in una società che, ammettiamolo, ha spesso mostrato di non avere gli anticorpi necessari per evitare un uso distorto delle prerogative di chi esercita un potere, di qualsiasi tipo. Non dimenticando che l'ordine giudiziario - composto da uomini e donne come tutti gli altri - nel suo organico ha purtroppo visto anche chi ha offeso la sua funzione, cedendo a tutte le tentazioni, a cominciare da quelle che ruotano intorno al denaro, soprattutto percepito illegalmente, quando non sono caduti nei tranelli dell'umana presunzione.
Per questo il fatto che il Consiglio dei ministri abbia convenuto di negare la possibilità di tornare nei ruoli della magistratura è positivo, solo che è colpevolmente tardivo (e ci non ci riferiamo certo al Governo Draghi).
Tutti, a cominciare dagli stessi magistrati, sanno che amministrare la giustizia è forse il momento di maggiore responsabilità in un sistema democratico. Ma, allo stesso modo, tutti sanno che è anche un ruolo che impone rigidissime regole che sono quelle della legge, ma soprattutto dell'etica. Regole che qualche volta si perdono per strada, perché è eroico l'uomo che riesce a non farsi attraversare anche solo da un fulmineo pensiero di potere.
Potere, nelle due possibili accezioni della parola: potere, nel senso fare qualcosa cui si ambisce, ma che non sempre ricade nei canoni da rispettare; potere, come esercizio della forza non necessariamente fisica.
Sino ad oggi ai magistrati era data la possibilità di scegliere cosa fare della propria personalità e della propria professionalità in luoghi diversi da quelli dove si esercita la Giustizia, per poi magari ripensarci o essere costretti a tornare, ma con funzioni o in luoghi diversi.
Facoltà (quella di riprendere l'originaria attività di lavoro o professione) comunque concessa a tutti coloro che entrano in politica o sono chiamati a fare parte di un organismo, rispondendo alla chiamata dello Stato.
Per i magistrati però restava e resta sempre il sospetto che, tornando a vestire la toga, non possano dimenticare a quale ideologia faceva riferimenti chi li ha invitati al desco degli Dei, restandone in qualche modo condizionati.
La riforma - perfezionata dopo un dialogo di mesi anche con la magistratura e che, per decisa posizione del premier, non sarà agevolata da un foto di fiducia - è perfettibile e dall'iter ''faticoso'' (definizione data da Marta Cartabia), come hanno ammesso lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il guardasigilli. Quasi non sapessero che, quando ancora non erano usciti dalla sala dove si riunisce il gabinetto, erano partite le prime prese di posizione.
La Lega, per bocca di Giulia Bongiorno, ha detto che la riforma dovrà essere comunque migliorata; i Cinque Stelle hanno gongolato dicendo che essa è la fotocopia di quella proposta a suo tempo dall'ex ministro Bonafede.
Niente di nuovo sotto il sole di palazzo Chigi.