Quirinale: la dimenticata lezione di Salomone

- di: Diego Minuti
 
In un momento in cui la politica italiana, tra rose e roseti, cerca di trovare una soluzione che sblocchi l'impasse sulla presidenza della Repubblica, appare evidente che, sic stantibus rebus, il rischio che si corre è l'esatto contrario di quello che dovrebbe essere l'imperativo per tutti: unire il Paese per il bene comune. Tra proposte chiaramente fatte per confondere le acque e tensioni interne ai singoli partiti e movimenti, la situazione relativa al Quirinale resta a dir poco confusa, ma paradossalmente presenta anche alcune certezze. La prima delle quali è che, almeno ufficialmente, nessuno dei protagonisti veri (quelli che decidono) ha scoperto le carte.
È vero, tanto per restare in tema ludico, che la partita è importante, se è vero che il prossimo presidente coprirà un arco temporale che tocca (a meno di sempre deprecabili chiusure anticipate) tre legislature: l'ultimo anno di quella in corso, la prossima e il primo anno della successiva. Quindi la scelta del futuro presidente dovrebbe essere molto oculata e non determinata dalla logica dei veti o da quella di tirare fuori un nome sperando di prendere per stanchezza gli altri.

Quirinale: la dimenticata lezione di Salomone

Prendiamo la terna di nomi proposti ieri dal centrodestra. Nulla da dire sulle persone (Moratti, Pera e Nordio), ma almeno per un paio di loro non è che si possa parlare di super partes, sempre nel massimo rispetto per la loro onestà e serietà, ma considerando il loro passato politico. Se poi Salvini, come dicono alcuni commentatori, starebbe tirando la volata alla presidente del Senato, Casellati, sarebbe cosa su cui riflettere, perché di certo la padrona di casa di Palazzo Madama non raccoglie consensi unanimi (oggi il sito di Repubblica pubblica, con un pizzico di perfidia, una foto che la ritrae mentre, durante un evento pubblico di tempo fa, bacia sulla guancia l'ex controverso dominus dell'Anm, Palamara).

Quindi ''imporla'' darebbe la misura di come il bene del Paese sia un concetto quasi astratto. Il Pd continua a restare silente, quasi che i modi distaccati e signorili di Enrico Letta impongano un profilo sfumato, di attesa. Ma aspettare troppo non è sempre sinonimo di forza, perché, in questo caso, significa solo che, mentre il centrodestra ha trovato dei candidati ufficiali (di facciata o veri è tutto da vedere), il centrosinistra sembra ancora cercare un equilibrio interno. Che dovrebbe essere la condizione minima per affrontare un problema delicatissimo come quello del Quirinale, ma che è difficile da perseguire sino a quando i Cinque Stelle non faranno chiarezza al loro interno, risolvendo i conflitti che ci sono e che si cerca di minimizzare, rendendo difficile capire chi veramente comandi.

Giuseppe Conte è in evidenti ambasce
, spesso criticato (fatta qualche eccezione, chiaramente di parte: quella degli orfani dei suoi governi) per non avere saputo o potuto risolvere il problema che il movimento ha nel suo Dna: le troppe e conflittuali anime, tra destra, sinistra, contestatori per vocazione, poltronisti, guerriglieri della parola e non dei fatti. Forse, riaffermando la sua leadership, Conte potrebbe ricompattare il movimento e aiutare il Paese.
Cose, entrambe, che, nella loro sequenza temporale, oggi appaiono quasi un'impresa.
Il brutto è che nessuno sembra prendere atto che più tempo passa, più la soluzione potrebbe essere difficile.

Chi, quindi, potrebbe fregiarsi del titolo di mallevadore dell'operazione Quirinale per unanime riconoscimento e non per autoreferenzialità?
Ad oggi non lo sappiamo, anche se c'è la concreta possibilità che a rendere possibile lo sblocco della situazione sarà il primo che mostrerà di amare l'Italia più che sé stesso.
Quindi il primo che capirà che il bene dello Stato può anche costare un piccolo passo indietro o, magari, una opposizione soft mascherata, aderendo ad una soluzione di compromesso. Poi le parole di Letta (chiudersi in una stanza a pane e acqua per uscire con un nome condiviso) non sembrano essere più di quello che sono, una semplice battuta. Però a nessuno si può chiedere di accettare un candidato di altri solo per amore del Paese. Sarebbe troppo, sarebbe illogico perché ciascuno ritiene d'essere abilitato a proporre il candidato che più gli aggrada.

La lezione di Salomone resta lì
, come sempre. Davanti a due donne che si contendevano un bimbo, dicendo ognuna che era il suo, il re disse che, per chiudere la questione, lo avrebbe tagliato in due, dando a ciascuna la sua ''parte''. La madre, quella vera, pur di vedere il figlio vivere, rinunciò a favore della sua antagonista, facendo capire a Salomone chi avesse veramente dato la vita al bimbo.
Chiedere un passo indietro per il bene del Paese è però una follia, almeno sino a quando i contendenti non avranno la consapevolezza di tenere un intera nazione ostaggio dei propri interessi politici.
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