Confessionale 4.0: l'anima in cloud
- di: Barbara Leone
Non c'è più religione! E stavolta non è solo un modo di dire, ma una fotografia perfetta di ciò che accade a Lucerna, in Svizzera, dove un’installazione artistica sperimentale promette di farvi parlare direttamente… con Gesù! O meglio, di confessarvi con Lui. Avete capito bene: proprio l’Altissimo Salvatore Gesù Cristo in carne ed osss… ah no. Trattasi, infatti, solo della sua versione olografica. Ma queste son quisquilie e pinzillacchere, in confronto alla possibilità di raccontare i propri peccati e senza intermediari al figlio di Dio, che con voce suadente e un po’ metallica ti accoglie nel confessionale con un mistico: “La pace sia con te, fratello”. L’installazione, battezzata (si spera non da Lui) con l’altisonante nome “Deus in machina”, è stata introdotta nella Cappella di San Pietro, la chiesa cattolica più antica di Lucerna. Ed è opera di Philipp Haslbauer e Aljosa Smolic dell’Immersive Realities Center dell’Università di Lucerna, in collaborazione con Marco Schmid, teologo locale. Ma come funziona questo “Cristo 4.0”? Semplice... come aprire Chatgpt! In pratica, entri nel confessionale e ti trovi davanti un ologramma che ti invita a parlare di ciò che turba il tuo cuore.
Mo’ non vorrei dire; ma a me personalmente già detta così mi salgono sì i turbamenti. E non quelli del cuore. L’idea, dicono i creatori di questa pagliacciata, è quella di spingere le persone a riflettere sui limiti della tecnologia in un contesto religioso. A parole, nulla di preoccupante. Ma nei fatti? Beh, secondo Marco Schmid, “non c’è garanzia che le risposte offerte dall’ologramma siano sempre allineate con la dottrina cattolica”. Una cosetta da nulla, insomma. Dopotutto, il software attinge a contenuti trovati online. E sappiamo tutti quanto possa essere vasto, e confuso, il mare della teologia digitale. Anche perché la rete tra le sue maglie ospita tanto i mistici quanto i fondamentalisti, con un pizzico di bufale religiose qua e là. “Ma non temete”, rassicura Schmid, “vicino all’installazione c’è personale umano per fornire supporto.” Ah, meno male, ora sì che mi confesso tranquilla! Tornando ai turbamenti di cui sopra, ecco che iniziano quelli seri. Perché nella stessa intervista lo stesso Schmid ha dichiarato che no: questa installazione non intende assolutamente sostituire la Confessione vera e propria. Deo gratias, quello vero però. Peccato che poi ha aggiunto che l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare il futuro della pastorale. Non solo: “Potrebbe avere abilità che un prete non possiede”. Mumble mumle… Tipo? Non dormire, non mangiare e rispondere 24 ore su 24 senza sosta. Ah certo: se la mettiamo sul piano dell’efficienza, anche un distributore automatico di bibite è insuperabile rispetto a un barista umano. E però, direi, che la Chiesa non è esattamente un fast food.
Il progetto, nato per “stimolare il dibattito”, ha già ricevuto critiche pesanti. C’è chi teme che, alla lunga, il Gesù digitale possa davvero diventare un’alternativa ai sacerdoti. Perché attendere in fila per una Confessione quando puoi avere risposte immediate da un avatar? Forse generiche, forse un po’ banali, ma sufficienti per mettersi l’anima in pace. E così le reazioni a questa diavoleria moderna oscillano tra l’ammirazione e lo scetticismo più feroce. Un parrocchiano ha detto: “Sono rimasto sorpreso. Anche se è una macchina, mi ha dato così tanti consigli.” Un altro ha raccontato: “Mi ha aiutato a capire meglio il mio modo di pensare e come avvicinarmi a lui.” E poi c’è chi lo ha trovato utile per “domande pratiche” su come aiutare gli altri. Un po’ come Alexa, o giù (anzi su) di lì. Non tutti, però, si sono fatti persuasi, per dirla con Montalbano. Per esempio il professor Peter Kirchschläger, teologo ed etico dell’Università di Lucerna, ha affermato che “le macchine non possiedono la bussola morale necessaria per praticare la religione.” E ha aggiunto: “Questa è un’area in cui noi umani siamo di gran lunga superiori alle macchine. Dovremmo fare queste cose da soli.”
Il problema più grande, però, è un altro. Dove va a finire l’idea di un Cristo incarnato, del Salvatore che soffre, ama e redime dall’alto della Croce? “Deus in machina” rischia di trasformare il messaggio cristiano in un esercizio di coaching motivazionale. Sei triste? Parla con l’avatar. Vuoi un consiglio perché hai mesos le corna a tuo marito? Eccolo servito, semplice e veloce. Manco il tempo di un Padre nostro e di un’Ave Maria, che arrivano risposte preconfezionate che “rassicurano”, ma che non sfidano. Cristo diventa un assistente virtuale, e il confessionale un luogo di consulenza rapida. Mala tempora currunt, a mio modestissimo avviso. Sì, l’intelligenza artificiale può essere uno strumento straordinario. Ma c’è un posto per tutto. E, francamente, il confessionale non sembra essere il luogo giusto per testare i limiti del digitale. Perché, se è vero che un algoritmo può simulare compassione, ascolto e persino empatia, l’essenza del rapporto tra fedele e sacerdote – umano, imperfetto e reale – non può essere replicata. In un’epoca di efficienza a tutti i costi, il rischio è quello di perdere ciò che rende autentica l’esperienza religiosa: il contatto con un altro essere umano, la possibilità di essere compresi, corretti e, talvolta, perdonati. Perché alla fine, non importa quanto sia avanzata la tecnologia, c’è qualcosa che nessun avatar potrà mai dare: l’abbraccio di Cristo invisibile sì, ma vivo nel cuore.