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Trump e il boomerang dei chip: la Cina accelera, gli USA arretrano

- di: Marta Giannoni
 
Trump e il boomerang dei chip: la Cina accelera, gli USA arretrano

Le restrizioni USA sui chip per l'IA si ritorcono contro: Nvidia perde terreno, Huawei avanza, e Pechino minaccia ritorsioni legali.

(Foto: a sinistra il fondatore e CEO della compagnia tecnologica USA Nvidia, Jensen Huang)
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Un autogol geopolitico firmato Trump
L’ennesimo tentativo goffo dell’America trumpiana di contenere la Cina si è trasformato in un clamoroso autogol strategico. Le restrizioni volute da Donald Trump – e mantenute in forma ampliata anche sotto l’amministrazione Biden – sul controllo dell’export di chip per l’intelligenza artificiale verso la Cina stanno sortendo l’effetto opposto: rafforzano Pechino e indeboliscono i colossi tecnologici americani.
Lo ha denunciato senza mezzi termini Jensen Huang, fondatore e CEO di Nvidia, intervenendo alla conferenza Computex di Taipei. “Il controllo sull’export è stato un fallimento”, ha dichiarato, aggiungendo che “i presupposti alla base delle misure si sono rivelati fondamentalmente errati”. La frase, pesantissima, arriva da uno degli uomini più influenti della Silicon Valley, a capo di un’azienda che guida l’innovazione nei chip per intelligenza artificiale.
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Nvidia dimezzata, Pechino si emancipa
La quota di mercato di Nvidia in Cina, secondo dati riportati dal Financial Times, è scesa dal 95% al 50% nel giro di pochi anni. Una caduta verticale che riflette un cambio strutturale: la Cina, messa con le spalle al muro, ha reagito accelerando lo sviluppo interno.
Il caso più evidente è quello di Huawei, azienda sotto sanzioni dal 2019 e diventata oggi il simbolo della resilienza tecnologica cinese. I suoi chip Ascend per IA stanno guadagnando fette di mercato e rimpiazzando progressivamente le GPU americane. Il sostegno massiccio di Pechino – finanziamenti pubblici, incentivi, protezione normativa – ha creato un ecosistema locale aggressivo e determinato, che secondo Huang è “molto talentuoso e supportato con convinzione”.
Nel frattempo, Nvidia è stata costretta a rivedere al ribasso le sue ambizioni: il chip H100, cuore delle applicazioni IA più avanzate, è stato escluso dalle vendite verso la Cina. Per aggirare il divieto, l’azienda ha sviluppato una versione depotenziata (l’H20), che però è stata anch’essa bloccata a inizio 2025. L’impatto stimato? Una perdita di 15 miliardi di dollari nei ricavi annuali, con una svalutazione da 5,5 miliardi solo nel primo trimestre dell’anno, secondo Barron’s.
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La reazione cinese: “Misure illegittime”
La risposta ufficiale di Pechino non si è fatta attendere. In una nota durissima, il Ministero del Commercio ha accusato gli Stati Uniti di “abusare dei controlli sulle esportazioni” per “contenere e reprimere la Cina”, in violazione del diritto internazionale.
La Cina ha inoltre minacciato azioni legali contro chi applicherà le restrizioni imposte da Washington. “Queste misure danneggiano gli interessi dello sviluppo cinese e minano la fiducia nei rapporti bilaterali”, si legge nel comunicato diffuso il 21 maggio.
Particolarmente critico il riferimento agli accordi raggiunti durante i colloqui di Ginevra dello scorso 6 maggio, in cui Stati Uniti e Cina avevano concordato una tregua commerciale di 90 giorni. Per Pechino, le nuove linee guida americane – che vietano l’uso dei chip Huawei anche al di fuori dei confini statunitensi – “hanno compromesso il consenso faticosamente costruito”.
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Effetto boomerang: gli Usa isolano se stessi
Il paradosso è evidente: nel tentativo di ostacolare lo sviluppo tecnologico della Cina, l’America sta perdendo terreno proprio nei settori strategici che intendeva proteggere. I grandi player USA dell’hardware e del software – da Nvidia a AMD, da Intel a Qualcomm – rischiano di vedere evaporare quote di mercato che fino a poco tempo fa sembravano inattaccabili.
Inoltre, le restrizioni statunitensi stanno spingendo anche Paesi terzi a cercare alternative. Secondo un'analisi di Newsweek, le linee guida USA stanno provocando frizioni anche con alleati storici, come la Corea del Sud, preoccupata per i riflessi sul business delle proprie aziende di semiconduttori (Samsung, SK Hynix) con la Cina.
Non solo. Le politiche aggressive e poco coordinate dell’amministrazione Trump – in materia di export, ma anche su dazi, investimenti e tecnologia – stanno alimentando una spaccatura tra Stati Uniti ed Europa. Bruxelles sta infatti lavorando a una sua “autonomia strategica” proprio per evitare di restare incastrata tra le logiche di confronto sino-americane.
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Lezione mancata: la Cina si è già adattata
C’è un’ultima considerazione, forse la più importante. L’ossessione americana per il “decoupling” ha accelerato ciò che Washington voleva impedire: l’autonomia tecnologica della Cina. Le aziende cinesi, supportate da investimenti pubblici miliardari, stanno costruendo una supply chain nazionale dei semiconduttori, dai design alle fonderie, fino al software.
Secondo un report di Bloomberg Intelligence, Pechino punta a ridurre la dipendenza da componenti esteri sotto il 25% entro il 2030, con un investimento statale previsto di oltre 100 miliardi di dollari. Nel 2024, il numero di startup cinesi nei settori dell’IA e dei chip è aumentato del 38% rispetto all’anno precedente.
Mentre l’America si rifugia nel protezionismo, la Cina investe e innova. È questa la vera sconfitta strategica.
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L’illusione dell’egemonia
La lezione è lampante: nel mondo della tecnologia globale, chi cerca di frenare l’innovazione altrui finisce per rallentare la propria. L’America trumpiana ha inseguito un’illusione di dominio esclusivo, dimenticando che la leadership si esercita costruendo ponti, non alzando barriere.
La Cina ha risposto con pragmatismo e investimenti. Gli Stati Uniti, con divieti e minacce. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: Nvidia perde terreno, Huawei avanza, e il resto del mondo osserva con crescente scetticismo una superpotenza che sembra temere più il futuro che guidarlo.


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