Tehran aveva firmato il Trattato di non proliferazione nel Luglio del 1968. Questo autorizzava la ricerca per lo sviluppo nucleare in ambito civile e non vietava la tecnologia ad uso duale. Addirittura erano consentite la propulsione nucleare navale e l’uso di esplosioni atomiche in ambito di ingegneria civile: proibita era solo la costruzione di ordigni nucleari. Gli iraniani perciò a tutto questo non avevano motivo di rinunciare.
A fermare l’Iran nel farsi l’atomica vi erano innanzitutto motivi religiosi, in quanto numerosi aspetti del programma nucleare erano incompatibili con i princìpi enunciati dalla Rivoluzione islamica. Questi invece i motivi pratici: l’Iran possiede le seconde riserve di gas al mondo ed è al quarto posto per quelle petrolifere. Il Paese è giovane, la popolazione in forte aumento e parte di queste riserve erano da destinare a scopi interni: sarebbero servite a sviluppare l’economia, il resto sarebbe servito all’esportazione, fornendo le entrate necessarie al progresso del paese.
Per quanto ingenti, queste risorse non sarebbero durate in eterno. Si riteneva opportuno diversificarle per evitare quel modello di crescita basato esclusivamente sull’estrazione e la vendita di gas e petrolio. Altre nazioni lo avevano adottato ma sul lungo periodo si sarebbe trattato di un percorso non privo di rischi, se non addirittura negativo. Era necessario puntare sullo sviluppo di un’economia articolata in più settori, in grado di consentire un modello di crescita superiore e duraturo. Per riuscirvi non era possibile prescindere dallo sviluppo di una moderna industria nucleare: ciò avrebbe permesso a queste riserve di durare più a lungo. Le centrali atomiche avrebbero anche ovviato al crescente inquinamento ambientale causato dagli idrocarburi.
Nel 1974, con lo Shah al potere, venne fondata l’Agenzia per l’Energia Atomica. L’iniziativa era stata appoggiata da Stati Uniti, Francia e Germania e l’Iran vi aveva investito capitali ingentissimi. Per la fornitura di materiale nucleare Tehran aveva anche pagato centinaia di milioni di dollari al consorzio europeo EURODIF, entrandovi in partecipazione per il 10%. Queste quote non furono mai consegnate.
Dopo aver speso tanto, l’Iran non intendeva rinunciare a questi investimenti. A seguito della Rivoluzione, l’impossibilità di acquistare il combustibile necessario alle centrali gli rendeva difficile procedere nei suoi intenti di produrre elettricità e avanzare nella ricerca in campo medico. Non vedendo alternative, Tehran decise di farsi in casa l’arricchimento dell’uranio necessario per il funzionamento di questi impianti ed in questo progetto la Russia non ebbe certo un ruolo secondario.
Dal punto di vista militare, dotarsi dell’arma atomica avrebbe presentato solo svantaggi. Il governo iraniano era perfettamente conscio che l’ordigno nucleare serve come deterrente e non può avere impiego bellico. Costruirlo avrebbe avuto l’effetto di innescare un processo di proliferazione in tutta la regione: se Tehran si fosse dotata dell’atomica, Arabia Saudita, Egitto e Turchia avrebbero seguito a ruota e la diplomazia regionale risentito in modo negativo.
Volendo anche ammettere la produzione di qualche ordigno nucleare, nessuno sarebbe stato poi così folle da impiegarlo contro Stati Uniti, Israele o qualche loro alleato nella regione. Cosa avrebbe potuto fare qualche bombetta iraniana contro un arsenale americano di circa 6800 testate e quello di Gerusalemme che ne possiede un’ottantina? La risposta sarebbe stata immediata e devastante e l’Iran non è certo disposto a farsi annientare.
Da informazioni che ho ricevuto, il livello di ricerca in Iran non era così avanzato come lo si sospettava. Mancano ancora le capacità per arrivare ad un arricchimento dell’uranio al 90%, soglia necessaria per produrre un ordigno nucleare. Non parliamo poi del plutonio e, da ultimo, del problema della miniaturizzazione della bomba. Rispetto ai paesi nuclearmente più avanzati, vi erano ancora lacune e ritardi nel programma di ricerca: l’Iran non era certo quella minaccia che molti ritenevano essere.
Per chiarire meglio le cose, al fine di produrre un ordigno all’uranio arricchito sono necessari 20 kg di uranio al 90%. Riguardo il plutonio, che non si trova in natura e si ottiene dal riprocessamento dell’uranio impiegato nelle centrali nucleari ad uso civile, ne servono 5 kg per realizzare una bomba. Il Giappone, tanto per fare un esempio, ne detiene qualcosa come 1000 kg e nessuno dice niente. L’attuale accordo ha comunque risolto il problema per i prossimi dieci/quindici anni.
Per concludere, con tutta probabilità lo scopo dell’Iran non era tanto fabbricare un ordigno nucleare quanto raggiungere lo stato di paese soglia – la cosiddetta “opzione zero” – cioè arrivare a quel grado di conoscenze per realizzarlo in caso di necessità: all’epoca della Guerra Fredda l’Iran era un paese di frontiera, oggi si trova nel mezzo di una regione tra le più instabili e turbolente, resa ancora più pericolosa da forti tensioni religiose e nella quale ogni vicino sospetta del prossimo. Non vi è da stupirsi se in un contesto simile molti pensino a dotarsi di un adeguato sistema di difesa.
Benché retto da una teocrazia, l’Iran non è un paese medievale, tutt’altro: aspira ad essere forte, moderno, all’avanguardia e, soprattutto, rispettato. Nella mente degli iraniani la ricerca e lo sviluppo nucleare vengono associati alla modernità. Siamo in quella che viene definita l’era nucleare: rinunciarvi sarebbe ammissione di arretratezza, quasi come non appartenere al XXI secolo. Altro motivo è il trauma seguito agli 8 anni di durissima guerra con l’Iraq, causa di immense distruzioni e che ha visto consumarsi un’intera generazione. Il regime ha un forte bisogno di sentirsi protetto e penso che nell’animo del paese questa ferita ancora bruci e spieghi in parte alcuni dei suoi attuali comportamenti.
Va aggiunto che l’Iran è circondato da nazioni che l’arma atomica la possiedono: Cina, Russia, India, Pakistan e Israele. Gli Stati Uniti, benché geograficamente distanti, hanno basi militari in tutta la regione, una flotta con tanto di portaerei nucleare che pattuglia tra le acque del Golfo e quelle dell’Oceano Indiano. Sono inoltre presenti sia in Iraq che in Afghanistan ed è ovvio che abbiano dietro anche un certo numero di testate atomiche.
Che Tehran possa sentirsi assediata e avere qualche timore non è irragionevole: un certo grado di paranoia accompagna sempre regimi giovani, sorti dai sussulti di una rivoluzione e perciò insicuri sul proprio futuro politico. A parte la Siria, è certo che i vicini regimi conservatori non vedano di buon occhio l’attuale Repubblica Islamica, che da nazione persiana e sciita ha come inconveniente anche quello di esprimere una visione diversa dell’Islam.
Per ultimo e certo non meno importante, vi è una questione di giustizia: con quale faccia i 5 paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i soli ad avere il diritto di essere militarmente nucleari e che insieme detengono quasi 15.000 ordigni atomici, possono prendersela con l’Iran, che di bombe non ne possiede nemmeno una? E come può Israele, che non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione e di testate ne ha parecchie, permettersi di minacciare l’Iran?
Vi è da aggiungere che nel Dicembre del 2003 la Francia decise di smantellare l’impianto nucleare Besse I. A Tricastin è oggi attivo, con ben 500.000 centrifughe, il nuovo impianto nucleare EURODIF Besse II, nato da un accordo tra Francia, Germania e Gran Bretagna. Produce uranio arricchito con il sistema della centrifugazione, necessario per la separazione isotopica dell’uranio naturale. Come possono questi tre Paesi prendersela con l’Iran per i suoi pochi ed arretrati impianti di arricchimento che il TNP non gli vieta di avere? Quello che l’Iran sta oggi facendo è semplicemente condurre il più classico dei giochi geopolitici: cercare di estendere la propria influenza nel vicinato. Questa partita, alla quale non intende rinunciare, potrà essergli utile anche in caso di futuri negoziati. Il vero problema è questo e non lo si potrà certo risolvere limitandosi ad un trattato sul nucleare e penalizzando i tentativi di emancipazione del popolo iraniano. Sarebbe necessario tornare a quella che è la vera funzione della diplomazia e cercare un accordo regionale che possa risolvere le dispute e le rivalità tra le parti coinvolte.