Capitol Hill: gli Stati Uniti scoprono i folli della porta accanto

- di: Brian Green
 
Mentre, a Washington fervono gli ultimi preparativi per la cerimonia di giuramento di Joe Biden, gli Stati Uniti continuano ad interrogarsi su come è potuto accadere che, il 6 gennaio, sotto la spinta delle infernali affermazioni di Donald Trump, migliaia di persone abbiano impunemente preso d'assalto il Campidoglio e, con esso, uno dei luoghi più simbolici del Paese e della sua coesione, soprattutto nei momenti oscuri della sua Storia.

Decine e decine di soggetti, ritenuti tra coloro che hanno fatto irruzione a Capitol Hill, devastandolo ed oltraggiandolo (anche con atti che non possono trovare alcuna giustificazione ideologica, come defecare nei corridoi o negli uffici), sono ora in stato di detenzione o formalmente accusati. La cosa che più sta però sconvolgendo l'opinione pubblica è che tra di essi - oltre agli scalmanati, già conosciuti alle forze di polizia - c'erano molti insospettabili, certo un po' eccentrici, ma non ritenuti in grado di vestire i panni dei devastatori per motivi politici.
La reazione della giustizia non aiuta a capire perché, in quella massa indistinta di persone e personalità, c'era l'immagine stessa di un Paese spaccato, ingenuamente caduto nella trappola che gli è stata tesa da Trump con le sue parole e le sue tesi divisive, mirate a crearsi intorno una barriera fatta da americani che si vedono assediati dagli altri, che, volta per volta, possono essere, a seconda della convenienza, islamici, immigrati, democratici, scienziati.

Un modo facile per approfittare di un elettorato bianco che ha sperato in Trump, nella sua capacità di restituirgli quel malinteso senso di appartenenza che ancora attecchisce nelle zone zone del Paese dove la crisi economica ha fatto vedere per troppo tempo Washington come il centro del malaffare, della "casta" contro cui "The Donald" si è scagliato, come se lui stesso non ne fosse espressione.
Non c'è controprova che, senza l'invettiva anti-sistema di Trump, il Campidoglio non sarebbe stato assaltato, ma certamente le parole del presidente hanno costituito la partitura di una azione violenta e non certo completamente improvvisata, come più d'uno cerca ora di accreditare. Non perché ci fosse un disegno, un complotto (anche se lo scambio di messaggi in chat sembrano suffragare questa tesi), ma perché, praticamente da ogni Stato, sono arrivati in tantissimi per dare alla protesta una pratica "applicazione".

Girando per i siti dei tanti giornali americani della "frontiera", quelli che non hanno un respiro nazionale, ma cercano di raccontare quanto più possibile della loro terra, si può scoprire che la protesta è stata interpretata, modulata, a seconda non tanto dell'ideologia, ma della provenienza sociale di chi l'ha portata avanti, di quegli assaltatori del Campidoglio dove in molti hanno riconosciuto il tranquillo vicino che, lasciati a casa gli abiti di ogni giorno (anche divise), ha indossati quelli dell'incendiario manifestante.
Come Erik Gavelek Munchel, 30 anni, di Nashville. E' stato fotografato tra gli scranni di Capitol Hill, vestito come se fosse un elemento delle forze anti-sommossa: di nero bardato, guanti; taser alla cintola; un bavaglio a coprirgli il viso, ad eccezione degli occhi; in mano delle fascette di plastica, del tipo usato per ammanettare. Ma, ed è questo l'aspetto singolare, non era solo, perché è andato all'assalto del Campidoglio con la madre, insieme come se avessero deciso di andare a fare shopping.

Larry R. Brock deve la sua incriminazione ai cattivi rapporti con la ex moglie (hanno divorziato dopo 18 anni di matrimonio), che lo ha riconosciuto in fotografia, vestito come se stesse andando in battaglia ed invece era dentro il senato. E lui, veterano di guerra, di battaglie ne ha fatto per davvero, sia pure alla guida di un jet, da tenente colonnello dell'Air Force. Josiah Colt, 33 anni, dell'Idaho, fotografato mentre si calava nell'aula del Campidoglio dall'emiciclo, una volta arrestato si è giustificato dicendo che era solo un modo per chiedere elezioni eque. Che poi lo abbia fatto vestito e muovendosi come un ninja a caccia di prede è un altro discorso.

Forse il premio "stupido del mese" va a Nicholas Rodean, che ha fatto irruzione a Capitol Hill, oltre che sbandierando un vessillo pro-Trump, portando ben in vista il badge del suo datore di lavoro, una azienda di marketing digitale, che non l'ha presa bene, licenziandolo alla notizia del suo arresto con accuse pesantissime. Rodean comunque se la deve vedere con un altro "genio", Derrick Evans, che non era un manifestante qualsiasi, ma membro della Camera bassa dello Stato del West Virginia, da cui si è dimesso. Un tipo cocciuto, Evans, famoso dalle sue parti perché metteva in rete le fotografie delle donne che andavano in una clinica per aborti.

Robert Sanford, 55 anni, è un tipo coerente perché, sugli scalini del Campidoglio, ha cercato di colpire degli agenti brandendo un estintore. Coerente perché fino a poco tempo fa era un vigile del fuoco a Chester, una contea poco distante da Philadelphia. E poi c'è Christine Priola, 49 anni, educatrice a Cleveland e seguace di teorie complottistiche. E' la donna bionda fotografa davanti allo scranno del presidente del Senato con un cartello con la scritta "i bambini gridano chiedendo giustizia" o qualcosa del genere. Anche lei è stata arrestata.
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