La Bce non segue la Fed, alza ancora i tassi di interesse e ne minaccia altri

- di: Redazione
 
Italo Calvino, che come si dice era a pieno titolo un cittadino del mondo, scriveva di ''lezioni americane'', cose di cui voleva parlare con gli studenti di Harvard, cosa che gli fu impedita da una morte improvvisa. Ma quelle ''lezioni'' oggi forse dovrebbero apprenderle i santoni della Bce che, inchiavardati alle loro poltrone, pontificano e quindi decidono, anche a dispetto di quello che ha appena fatto la Federal Reserve, che nella riunione conclusasi ieri ha deciso di fermare la lunga sequenza di aumenti dei tassi di interesse, cominciata oltre un anno fa con l'obiettivo di ricondurre l'inflazione nei parametri della normalità.

La Bce non segue la Fed, alza ancora i tassi di interesse e ne minaccia altri

La Bce ha deciso l'esatto contrario, alzando ancora una volta i tassi d'interesse, questa volta di un quarto di punto percentuale. Da oggi, quindi, il tasso sui rifinanziamenti principali si attesta al 4%, quello sui depositi al 3,50%, e quello sui prestiti marginali al 4,25%. L'idea che questo trend (che sta provocando forti ripercussioni sull'economie delle famiglie che ''dialogano'' con le banche, che a loro volta devono fare i conti con le pervicaci politiche restrittive della Banca centrale europea) possa essere attenuata in tempi ragionevolmente brevi è stata frustrata dalle parole della Bce, secondo cui ''le decisioni future del Consiglio direttivo assicureranno che i tassi saranno portati a livelli sufficientemente restrittivi per assicurare un ritorno tempestivo dell'inflazione al target del 2%, e che resteranno su quel livello finché sarà necessario''.
Quello che inquieta, non potendo i cittadini del continente fare altrimenti, è che la Bce, ragionando esclusivamente sui numeri, si fa condizionare da essi non pensando che le sue decisioni, in materia di tassi, strangolano lentamente l'economia e quindi la gente. Questo senza lasciare trasparire alcuna intenzione di recedere da scelte da ''lacrime e sangue''.

Anzi, le nubi all'orizzonte sembrano lasciare prevedere un'altra grandinata di aumenti, se, come ammette l'Istituto di Francoforte, la Bce ''continuerà a seguire un approccio dipendente dai dati, per determinare il livello appropriato e la durata della restrizione. Le decisioni sui tassi continueranno a basarsi sulle prospettive dell'inflazione alla luce dei dati economici, sulla dinamica dell'inflazione di fondo e sulla forza della trasmissione della politica monetaria''.
Premurandosi a rimarcare che ''l'inflazione è in calo, ma si prevede che rimarrà troppo alta per troppo tempo'', la Bce si dice determinata a garantire che il fenomeno ''ritorni tempestivamente al suo obiettivo a medio termine del 2%''.

E qui bisogna necessariamente allargare l'orizzonte e guarda oltre Oceano. Perché l'inflazione, gentile madame Lagarde, non è una cosa che riguarda solo l'eurozona, perché anche negli Stati Uniti la stanno combattendo, ma con maggiore ragionevolezza o, per dirla in altro modo, con una grande attenzione verso chi degli aumenti risente quotidianamente.
La Federal Reserve, decidendo di fermare la spirale degli aumenti, ha dato un forte segnale di concretezza, in questo aiutata certamente dalla buona salute dell'economia americana, con un mercato del lavoro che aggiunge, mese dopo mese, decine e decine di migliaia di nuovi posti. Certamente questo aumenta la circolazione della moneta, per effetto delle dinamiche salariali effervescenti, ma gli aumenti precedenti dei tassi hanno contribuito a frenare la corsa dell'inflazione che resta al doppio dell'obiettivo del 2%, ma oggi fa meno paura.
Con la decisione di ''non decidere'' la Fed ha ridato fiato alla macchina economica del Paese, senza però dire che si fermerà. Un altro aumento, ha detto il suo presidente, Jerome Powell, arriverà entro l'anno perché la guerra non è vinta. Ma intanto, la Federal Reserve ha concesso una tregua.

Cosa che la Bce non ha inteso fare, adducendo un quadro generale ancora preoccupante, che, ed è questo che induce a preoccupazione, resterà tale anche negli anni a venire. Secondo le proiezioni della Banca centrale europea l'inflazione nel breve periodo si confermerà alta, rendendo quindi necessaria una politica muscolare, anche nel 2023 (5,4%) e nel 2024 (3,0%), prospettandosi solo per il 2025 (2,2%) un avvicinamento sensibile all'obiettivo del 2%.
Quindi, per almeno altri due anni, le vacche magre continueranno a pascolare negli aridi alpeggi della nostra Europa, per la quale, peraltro, la Bce ha rivisto leggermente al ribasso le stime sulla crescita per quest'anno e il prossimo: il Pil crescerà di 0,9% nel 2023 (a marzo era visto a +1%), 1,5% nel 2024 (a marzo era stimato +1,6%) e 1,6% nel 2025.

L'ineffabile Christine Lagarde l'ha comunque detto, parlando dei rialzi dei tassi, sui quali ha confermato che ''non siamo ancora a destinazione", perché ''le prospettive economiche restano altamente incerte", per la guerra in Ucraina e le susseguenti tensioni politiche. Lagarde ha quindi fatto un annuncio, che è suonato come più d'una semplice minaccia, dando appuntamento a luglio, quando arriverà un nuovo aumento i tassi di interesse, "a meno che non ci sia un cambiamento concreto del nostro scenario. Non siamo soddisfatti dell'outlook sull'inflazione"
Per la serie: sperate, sperate, ma alla fine la decisione sarà nostra e l'abbiamo già presa.
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