Gabbie giganti, denso fumo rosa e attivisti travestiti da mucche e maiali: così Greenpeace ha accolto questa mattina a Roma, davanti alla sede della FAO, i delegati internazionali riuniti per la seconda Conferenza mondiale sulla trasformazione sostenibile dell’allevamento organizzata dalle Nazioni Unite.
La scenografia, che ricordava un allevamento intensivo, ha voluto denunciare le crescenti emissioni di metano del settore zootecnico. Sui cartelli, slogan come “Fattorie, non gabbie”, “Stop allevamenti intensivi” e “Cambiamo sistema alimentare, ora!”.
Attivisti Greenpeace in gabbia alla FAO contro gli allevamenti intensivi
In occasione del summit, Greenpeace ha lanciato un appello firmato da oltre 90 organizzazioni internazionali attive in ambito ambientale, agricolo e dello sviluppo – tra cui Action Aid International, Oxfam International e l’Alleanza per la Sovranità Alimentare in Africa.
Il documento chiede ai governi di ridurre urgentemente le emissioni agricole e sostenere una transizione giusta dall’agricoltura industriale a un sistema basato sull’agroecologia, con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi e proteggere ecosistemi vitali come l’Amazzonia.
Verso la COP30 in Brasile
L’appello arriva a poche settimane dalla COP30 sul clima, che si terrà in Brasile e dove, secondo Greenpeace, sarà significativa la presenza dei lobbisti del settore agricolo.
“La zootecnia industriale sta inquinando l’acqua, impoverendo i terreni e accelerando il riscaldamento globale. Eppure, i giganti della carne e dei latticini continuano a promuovere soluzioni tecnologiche riduttive o false, bloccando la vera trasformazione di cui il nostro sistema agroalimentare ha urgente bisogno”, ha dichiarato Simona Savini, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
“Con la COP30 all’orizzonte, i leader mondiali devono opporsi agli interessi acquisiti delle multinazionali e ridurre le emissioni di gas serra accompagnando l’agricoltura, in particolare la zootecnia, fuori da un modello industriale dominato da poche grandi aziende, che sta distruggendo l’ambiente e le comunità rurali”.
Il peso dei sistemi alimentari sul clima
Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), i sistemi alimentari contribuiscono fino al 42% delle emissioni globali di gas serra, e il settore zootecnico è la principale fonte di metano, responsabile di circa un terzo del riscaldamento globale.
I firmatari dell’appello ritengono quindi essenziale “trasformare radicalmente il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo cibo” e chiedono ai governi di incentivare pratiche agricole che ripristinino gli ecosistemi, sostengano la biodiversità e garantiscano cibo sano e nutriente per tutti.
La voce dell’Africa contro il modello industriale
“C’è una forte spinta dell’agroindustria per intensificare e industrializzare gli allevamenti e l’agricoltura anche in Africa – ha denunciato Million Belay, coordinatore generale dell’Alleanza per la Sovranità Alimentare in Africa –. Ma adottare il sistema del Nord globale impatta sulla nostra salute e sull’ambiente, poiché favorisce deforestazione ed emissioni di gas serra, contamina i terreni e aumenta l’antibiotico-resistenza attraverso l’uso routinario di farmaci veterinari”.
Belay ha sottolineato come le comunità africane stiano collaborando con i decisori politici per promuovere sistemi produttivi basati sull’agroecologia, capaci di rendere i territori più resilienti al cambiamento climatico e di rafforzare le comunità pastorali e le aziende agricole a conduzione familiare.
Una protesta simbolica ma dal forte impatto
L’azione di Greenpeace alla FAO – con le gabbie, il fumo rosa e i travestimenti – ha voluto ricordare ai delegati della Conferenza che la trasformazione dell’allevamento è cruciale per il futuro del pianeta.
Gli ambientalisti chiedono che la discussione internazionale sulla sostenibilità non si limiti a soluzioni tecnologiche ma affronti le radici del problema: il modello industriale che concentra produzione e potere economico, a discapito di ecosistemi, piccoli produttori e comunità locali.