Con la spinta congiunta di Macron, Meloni e Merz e il piano Draghi già sul tavolo, l’Unione può finalmente costruire una politica della crescita. Il rischio stagnazione è reale, ma gli strumenti per evitarla ci sono.
Dall’equilibrio alla crescita: il salto che serve
L’economia europea non è più in emergenza, ma nemmeno in slancio. Dopo lo shock pandemico, l’inflazione e la stretta monetaria, la situazione appare oggi sotto controllo. I tassi sono scesi e scenderanno ancora, i mercati restano stabili, la recessione è evitata. Ma la crescita resta troppo debole per incidere.
L’Italia è il caso più emblematico: il PIL 2025 dovrebbe aumentare dello 0,6% - un dato positivo in sé, ma insufficiente per affrontare il peso del debito, rilanciare la produttività o chiudere i divari. Il punto è che senza una politica della crescita vera, né l’Italia né l’Europa andranno lontano.
Il piano Draghi è già sul tavolo
La buona notizia è che il cantiere esiste già. Mario Draghi ha consegnato alla Commissione il suo atteso rapporto sulla competitività europea, e le sue conclusioni sono chiare: per tenere il passo con Stati Uniti e Cina serve un mercato unico più integrato, una politica industriale comune e nuovi strumenti finanziari condivisi.
Il documento non è solo un’analisi: è una proposta operativa. Investimenti coordinati, riduzione dei colli di bottiglia burocratici, regole più snelle per chi innova. Soprattutto, Draghi invita l’Europa a superare i nazionalismi paralizzanti, per affrontare da un’unica piattaforma le sfide globali su tecnologia, energia, difesa e transizione verde.
Macron, Meloni e Merz: un’alleanza per sbloccare l’Ue
Ed è qui che arriva il segnale più concreto: Francia, Germania e Italia - il cuore economico dell’Ue - hanno firmato una lettera congiunta indirizzata a Ursula von der Leyen. Chiedono meno vincoli, più semplificazione, strumenti industriali comuni, attenzione alla competitività e all’autonomia strategica.
È un’iniziativa che può pesare: insieme questi tre Paesi rappresentano oltre il 60% del PIL europeo a parità di potere d’acquisto, e il 65% se si considera l’influenza aggregata. Ma la vera sorpresa è politica: la firma di Giorgia Meloni, spesso associata a un fronte nazionalista, indica una scelta di campo pragmatica e responsabile, che può rafforzare l’asse riformista europeo.
Un’Europa da rianimare
Oggi l’Europa non è ferma per mancanza di risorse, ma per assenza di direzione. Le divisioni interne, i riflessi burocratici, la difesa delle singole competenze nazionali frenano l’azione comune. Ma i rivali globali non aspettano: Washington accelera con sussidi industriali e piani strategici, Pechino investe massicciamente su AI e batterie, e la corsa tecnologica è già iniziata.
Il vero rischio per l’Europa non è il declino, ma l’irrilevanza. E per evitarla serve uno scatto politico, condiviso e coraggioso.
Il rapporto Draghi offre la visione strategica. La spinta congiunta di Macron, Meloni e Merz può sbloccare l’impasse. Toccherà alla Commissione trasformare queste premesse in una politica della crescita strutturata, ambiziosa e duratura. L’Italia può essere parte della spinta. E l’Europa, per una volta, ha le carte per giocare in attacco.