L'Archivio Segreto Vaticano: un servizio per la cultura universale

- di: Francesco d'Alfonso
 

Ottantacinque chilometri lineari di scaffali, oltre seicento fondi, milioni di carte e pergamene. 
Da quando, nel 1881, Papa Leone XIII ne aprì le porte agli studiosi, l’Archivio Segreto Vaticano è diventato un centro di ricerche storiche fra i più importanti e celebri al mondo, a servizio della Santa Sede e, più in generale, a servizio della cultura universale.
Tutela del patrimonio documentario e relativa valorizzazione sono le due direttrici su cui si fonda, da quattrocento anni, l’attività dell’Archivio Segreto: «Echi e vestigia del passaggio del Signore Gesù nel mondo» – come diceva Paolo VI – che oggi sono a disposizione dei tanti studiosi provenienti da ogni parte del globo, senza distinzione di nazionalità e di fede religiosa. Solo una volta, nel 2012, con la mostra ai Musei Capitolini “Lux in arcana”, pergamene, registri e codici dell’Archivio sono usciti fuori dai confini dello Stato Città del Vaticano.
Presso la sede dell’Archivio Segreto, situato nel Cortile del Belvedere, abbiamo incontrato il Prefetto, Sua Eccellenza Monsignor Sergio Pagano, che è anche membro della Pontificia Accademia delle Scienze, del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, della Pontifica Academia Latinitatis, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, nonché membro della Società Romana di Storia Patria. A Monsignor Pagano, il 13 marzo 2018, l’Università di Tor Vergata ha conferito la laurea honoris causa in Conservazione dei Beni Culturali. 

Eccellenza, mi permetta una domanda banale: perché si chiama Archivio Segreto Vaticano? Il nome è sempre stato questo?
I Papi hanno sempre avuto un loro archivio, almeno dal III secolo, che si trovava al Laterano, sede del Vescovo di Roma. All’inizio si chiamava scrinium, poi archivum, e si è sempre designato così per tutto il Basso e l’Alto Medioevo. Arrivati all’Età Moderna, Paolo V, a partire dal 1610, fece separare alcuni documenti dalla Camera Apostolica e dall’Archivio di Castel Sant’Angelo, costituendo nel Palazzo Vaticano un nuovo Archivio. Dal 1620 circa si comincia a chiamare Archivum Secretum Apostolicum Vaticanum, cioè l’Archivio del Papa.

A cosa è dovuto l’aggettivo secretum?
In latino secretum vuol dire “separato”: si tratta infatti di un archivio privato del Pontefice, che non è l’Archivio generale dello Stato Pontificio, e non è neanche l’Archivio generale Diplomatico, ma è un archivio particolare del Papa, in cui si conservano determinate scritture. L’Archivio voluto da Paolo V si è poi ingrandito enormemente: dal Seicento ad oggi si è più che centuplicato. Nato in quattro stanze, oggi abbiamo raggiunto gli ottantacinque chilometri lineari di documentazione. Tuttavia, pur essendo diventato l’Archivio centrale della Santa Sede, resta sempre un archivio privato, per cui si mantiene quell’aggettivo secretum per dire che se il Papa, per ipotesi, volesse andar via da Roma, dovrebbe portarlo via con sé.

Per gli studiosi è possibile avere accesso a qualsiasi fondo dell’Archivio?
Abbiamo moltissime richieste di ammissioni, ma è stabilito che entrino massimo sessanta studiosi al giorno. Gli studiosi vengono da tutto il mondo e possono aver accesso a tutti i fondi, da quelli medievali a quelli più vicini a noi, fino al 1939, perché la consultazione dell’Archivio è fermo alla fine del pontificato di Pio XI. La prossima apertura, che stabilirà Papa Francesco, riguarderà il periodo di pontificato di Pio XII. Gli studiosi possono aver accesso a tutta la documentazione inventariata, salvo quella che la legge sugli Archivi della Santa Sede prevede che non possa essere data in consultazione, e che riguarda i processi matrimoniali, per giusto rispetto delle persone, i processi vescovili e gli spogli dei cardinali.

Esiste un bunker all’interno dell’Archivio Segreto: al di là delle fantasie giornalistiche, cosa contiene?
Non contiene affatto i materiali più preziosi, ma materiali di vario genere: Nunziature, Archivi di famiglia, Segreteria di Stato. Costruito da Paolo VI e inaugurato da Giovanni Paolo II nel 1984, è il luogo che ci permette di accogliere ancora documenti, perché siamo quasi all’esaurimento di tutto lo spazio disponibile.

Qual è il ruolo del Prefetto dell’Archivio?
Il Prefetto, sotto le direttive della Segreteria di Stato o del Papa stesso, ha il compito di custodire questo patrimonio, di ordinarlo, di restaurarlo, di ammettere gli studiosi, di vigilare sulla conservazione e la preparazione degli strumenti per l’accesso ai fondi, di promuovere le iniziative editoriali e gli accordi con gli istituti storici, di mantenere vivo, insomma, questo straordinario centro culturale della Santa Sede.

Nell’epoca in cui viviamo, in cui attraverso internet e i social network tutto è messo sulla piazza, quanto è importante l’esistenza dell’Archivio Segreto, che valuta con estrema prudenza lo studio dei documenti?
I documenti dell’Archivio Segreto Vaticano possono essere considerati patrimonio dell’umanità, ma mettere tutto in rete non è possibile per due motivi: in primo luogo perché non tutto è leggibile e comprensibile a chi non ha fatto determinati studi, come la Paleografia o la Diplomatica; in secondo luogo perché tutto ciò che viene messo in rete - per ipotesi - è falsificabile, o interpolabile, o comunque manovrabile. Noi, invece, teniamo molto al diritto di autenticità: i Pontefici dicevano che la migliore difesa della Chiesa e del Papato sono le scritture autentiche. Solo gli ingenui pensano e dicono che dovremmo mettere i documenti in rete. Noi, invece, mettiamo i documenti a disposizione degli studiosi e non dei curiosi.

Dunque i curiosi non sono ammessi!
I curiosi sono una categoria di persone estranea all’Archivio! Di contro, gli studiosi vengono costantemente da noi, pubblicano articoli e libri, ed è nostro scopo far loro approfondire la storia, nella libertà delle scuole di pensiero e delle scuole storiche, a prescindere dalla nazionalità o dal credo religioso. Anche molti atei vengono a studiare la storia della Chiesa, e sono loro, forse, i più grati alla Santa Sede per come conserva le memorie del mondo. Dunque, noi forniamo le fonti per quello che sono, poi gli storici le elaborano e le pubblicano. Ciò che è sconosciuto al grande pubblico, in realtà è notissimo agli storici: per cui, quello che potrebbe considerarsi un archivio di nicchia, in realtà è un centro di studio e di ricerca che accoglie circa duemila studiosi l’anno, un servizio che la Chiesa offre alla cultura da più di quattro secoli.

È anche grazie all’Archivio Segreto Vaticano che la Chiesa cattolica resta uno degli ultimi baluardi della cultura mondiale… 
Ha detto bene, mondiale: perché qui c’è il patrimonio della Chiesa nel mondo da quando la Chiesa “era” il mondo, l’Europa prima e poi le nuove Americhe; c’è la storia religiosa, certo, ma c’è anche la storia politica, i rapporti diplomatici. Il Papa era il sovrano dei sovrani, quindi la persona più informata sulla politica dei vari Stati: attraverso i Nunzi e i Legati pontifici, noi abbiamo una radiografia importantissima delle varie nazioni d’Europa.

Esiste in Archivio un documento al quale lei è particolarmente affezionato?
Un Prefetto è affezionato a tutto l’Archivio, perché l’Archivio è un tesoro. Io ho insegnato molti anni, nella nostra Scuola Vaticana, Diplomatica Pontificia, vale a dire la Cancelleria dei Pontefici; ho quindi un debole per la reliquia più antica che abbiamo: un piccolo codice in pergamena dell’800 d.C., dell’epoca di Carlo Magno quindi, ancora oggi legibilissimo, che raccoglie formulari di lettere apostoliche che arrivano fino a Gregorio Magno (590 - 604). Io amo molto questo codice perché in esso si vede riflesso sia lo stile dei Papi di Roma - quando trattano con l’Esarca, con l’Imperatore d’Oriente, coi regni Merovingi e Carolingi - sia la bellezza dello stile della Curia, con un latino molto elaborato, pensato, “digerito”: le lettere dei Papi del VII, VIII e IX secolo hanno fatto scuola a molte cancellerie imperiali d’Europa.

Tra le sue pubblicazioni ci sono anche studi che riguardano il Novecento, in particolare il Modernismo.
Ho studiato il problema del Modernismo nel Fondo Benigni. Un fenomeno curioso, per tanti aspetti ancora da capire: Pio X ha combattuto, giustamente, il Modernismo dal punto di vista dottrinale, anche perché alcune frange arrivavano a negare persino la divinità di Cristo; d’altra parte, quando si combatte un fenomeno con mezzi così invasivi, come lo spionaggio del clero o le denunce nei seminari, si rischia di gettare via anche il buono. C’era un movimento intellettuale molto forte nella Chiesa d’inizio Novecento, che era genuino, mosso da buone intenzioni; ma quel movimento fu arrestato perché si aveva paura che tutto confluisse nel grande amalgama del pensiero modernista, che potesse generare un nocumento alla fede, all’ortodossia, alla tradizione. È la storia, quella del Modernismo, di una grande, dolorosa incomprensione. 

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