Andy Warhol: comunicazione, consumismo, morte e bellezza, tutto nella reiterazione dei suoi colori

- di: Stefania Assogna
 
“American Art 1961-2001. Da Andy Warhol a Kara Walker”, è la mostra che, dal 28 maggio al 29 agosto 2021, si svolge a Palazzo Strozzi, a Firenze. Si tratta di una grande mostra che celebra l’arte moderna degli Stati Uniti d’America attraverso oltre 80 opere di 55 artisti come Andy Warhol, Mark Rothko, Louise Nevelson, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Bruce Nauman, Barbara Kruger, Robert Mapplethorpe, Cindy Sherman, Matthew Barney, Kara Walker, e così come riportato dalla nota stessa della Fondazione museale di Palazzo Strozzi, alcune di esse saranno per la prima volta in Italia, grazie alla collaborazione con il Walker Art Center di Minneapolis, tra i musei di arte contemporanea più prestigiosi del mondo. L’esposizione propone uno straordinario percorso attraverso importanti e iconiche opere che hanno segnato l’arte americana dall’inizio della Guerra del Vietnam fino all’attacco dell’11 settembre 2001.

La mostra è a cura di Vincenzo de Bellis (Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center) e Arturo Galansino (Direttore Generale, Fondazione Palazzo Strozzi), testimoniando la poliedrica produzione artistica americana. Dalla Pop Art al Minimalismo, dalla Conceptual Art alla Pictures Generation, fino alle più recenti ricerche degli anni Novanta e Duemila: tra pittura, fotografia, video art, scultura e installazione, si propone una inedita rilettura di quarant’anni di storia affrontando tematiche come lo sviluppo della società dei consumi, la contaminazione tra le arti, il femminismo, le lotte per i diritti civili. La Pop Art (Popular Art) che vede tra i suoi massimi esponenti Andy Warhol e che avvia tutta la serie di evoluzioni narrative artistiche su cui la mostra si concentra, nasce come provocazione, negli anni ‘50/’60, maggiormente negli USA, ma anche in GB, usciti vittoriosi dalla Seconda Guerra Mondiale. La società, specialmente quella statunitense, in pieno boom economico, impone il consumismo, comunicandolo attraverso la pubblicità, negli schermi Tv e sui cartelloni pubblicitari. Al mondo in bianco e nero della prima metà del secolo ora si imponeva quello colorato e massimalista del benessere, della vasta scelta, che sembrava essere alla portata di tutti. Scaturisce in tutto questo periodo, un profondo cambiamento nella visione del mondo, non da ultimo con l’avvento della plastica e della seconda rivoluzione industriale, che dettava le regole di un profondo “prima” e “dopo”, in cui quel “fatto in serie” con costi contenuti, influiva nelle scelte del quotidiano, nel tessuto sociale e perfino nei valori del singolo individuo. Warhol, Lichtenstein e gli altri artisti della Pop Art si inseriscono in questo passaggio, raccontando il mutamento in atto con lo stesso linguaggio, a tratti pubblicitario, usato dalla società dei consumi, al punto da confondere e rendere complessa la distinzione tra “provocazione” e “business calcolato”, fondendo forse insieme entrambe le cose, a dimostrare come il consumismo sia impossibile da affrontare declinandolo in altri linguaggi, che non siano se stesso, anche da un punto di osservazione critico.

La sintesi dello spirito e del lavoro della Pop Art di Andy Warhol è nelle sue stesse parole: “Adoro l’America...le mie immagini rappresentano i prodotti brutalmente impersonali e gli oggetti chiassosamente materialistici che sono le fondamenta dell’America d’oggi. È una materializzazione di tutto ciò che si può comprare e vendere, dei simboli concreti ma effimeri che ci fanno vivere”. Tuttavia, la Pop Art, e in particolare Andy Warhol col suo lavoro, descrivono anche l’altro aspetto della società dei consumi, il consumismo di notizie, tutte, anche quelle drammatiche e cruente, a cui si fa l’abitudine, che si sovrappongono, ancor più da quando la comunicazione nel mondo è più rapida, immediata; le notizie si susseguono, in una manciata di ore diventano virali e subito “vecchie”, vengono “dimenticate” perché l’attenzione si sposta subito su quelle nuove, fresche più recenti. I mass media, nei tempi in cui si sviluppa la Pop Art, e tutto il lavoro di Warhol, erano ancora tecnologicamente indietro rispetto ad oggi, (Warhol muore nel 1987, era nato nel 1928) tuttavia Warhol osserva e assimila la spettacolarità, talvolta perfino la speculazione del catastrofismo dei titoli giornalistici, descrivendo la violenza con delle immagini, dalle celeberrime sedie elettriche, a quelle dei criminali più ricercati d’America, agli strumenti della violenza, come le pistole e i coltelli, fino ad arrivare a “The Skull” del 1976, il dipinto di un teschio, definito il “ritratto di tutti”. Cose su cui riflettere e che rendono attuale l’opera di Warhol anche a distanza di ormai oltre 30 anni.

La tematica della morte e della celebrità, già avviata con i famosi ritratti di Marylin Monroe, dopo il suicidio dell’attrice nel 1962, si intensifica. Anche il ritratto di Liz Taylor è stato eseguito sotto il segno della mortalità, durante una grave malattia dell’attrice. Con la stessa tecnica verranno eseguiti poi i ritratti di altre icone del mondo dell’arte e dello spettacolo, da Mick Jagger a Joseph Beuys, ma anche della politica, come quello di Mao, in cui si fonde con ironia il tema del potere e della comunicazione di propaganda tipica dei regimi totalitari. In realtà “l’osservazione della morte in diretta”, fu rafforzata anche dall’esperienza personale vissuta, in quanto Andy Warhol ha rischiato di morire, nell’attentato del 3 giugno 1968.Valerie Solanas, attentò alla vita dell’artista, per una complessa vicenda di un testo teatrale che non le fu restituito dopo che l’artista si rifiutò di produrlo; lei sosteneva che glielo aveva rubato, e chiedeva un rimborso, mentre lui di averlo semplicemente perso, ignorando il risarcimento richiesto. Accecata dalla rabbia, la donna sparò al manager di Warhol, Fred Hughes al curato- re e compagno di Warhol di allora, Mario Amaya, e all’artista, nell’atrio dello studio “Factory”, sparando diversi colpi di pistola.

Amaya riportò solo ferite lievi e fu dimesso dall’ospedale il giorno stesso. Andy Warhol invece, fu ferito gravemente, e sopravvisse a stento; ci vollero diversi massaggi cardiaci per riattivargli il cuore e un delicato intervento chirurgico con un lungo periodo di ripresa da cui non si riprese mai del tutto, con danni permanenti, ed un effetto profondo sulla sua percezione della vita e sull’arte. Warhol ama l’Italia, e usa l’immagine del Vulcano Vesuvio di Napoli, reiterandola in ben 18 serigrafie, nel suo stile, in molti colori, negli anni 80, nella celebre serie con il nome Vesuvius. Con Vesuvius Andy Warhol crea un’ulteriore parte di una raccolta di immagini stereotipate che ben si prestano alla replica infinita, nella rappresentazione di Napoli l’immagine del Vesuvio è un autentico “luogo comune”, che porta con sé quel senso di morte che rappresenta una parte importante della sua poetica. “Per me l’eruzione è un’immagine sconvolgente, un avvenimento straordinario e anche un grande pezzo di scultura [...] Il Vesuvio è molto più grande di un mito: è una cosa terribilmente reale”. Andy Warhol
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