Il recente blocco di DeepSeek da parte del Garante per la protezione dei dati personali in Italia ha acceso un nuovo dibattito sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale nel nostro Paese. Come afferma l’Istituto Bruno Leoni (IBL), questo caso dimostra ancora una volta come l’Italia applichi le normative sulla privacy con un rigore che non trova eguali in altri Stati membri dell’Unione Europea.
Un caso simile a ChatGPT, ma con una peculiarità italiana
Il Garante ha imposto a DeepSeek lo stop ai servizi in Italia a causa della mancanza di chiarezza sul trattamento dei dati personali degli utenti italiani. L’azienda ha dichiarato di non operare ufficialmente in Italia né in altri Paesi dell’UE, sostenendo di non essere soggetta al diritto europeo. Tuttavia, l’Autorità italiana ha avviato un’istruttoria e richiesto spiegazioni più dettagliate, così come accadde con ChatGPT nel 2023.
“Il problema”, sottolinea l’IBL, “non è tanto l’attenzione alla privacy, quanto il fatto che l’Italia sembra essere l’unico Paese ad applicare il blocco immediato, mentre altre autorità europee si limitano a chiedere chiarimenti”. Questa tendenza, secondo l’IBL, evidenzia un atteggiamento eccessivamente restrittivo che potrebbe limitare la competitività dell’Italia nel settore tecnologico.
Le regole sono uguali per tutti?
Secondo l’Istituto Bruno Leoni, il caso DeepSeek è emblematico di un problema più ampio: la tendenza dell’Italia a interpretare e applicare le normative in modo più rigido rispetto ad altri Paesi europei. “Il nostro Paese non è l’unico a sollevare dubbi su DeepSeek”, afferma l’IBL, “ma ancora una volta siamo i primi e gli unici a imporre un blocco”. Anche nel caso di ChatGPT, il Garante italiano fu l’unico a decidere per un’interruzione del servizio, mentre altrove si scelse un approccio più flessibile.
L’IBL ritiene che questa rigidità nell’applicazione delle regole possa creare un clima di incertezza per le aziende tecnologiche, che potrebbero vedere l’Italia come un mercato meno favorevole per l’innovazione. “Non sorprende che le startup AI guardino con maggiore interesse agli Stati Uniti o alla Cina, dove la regolamentazione è più prevedibile e meno soggetta a interpretazioni stringenti”.
L’Europa deve cogliere l’opportunità dell’intelligenza artificiale
Un aspetto interessante che emerge dal caso DeepSeek è il potenziale dell’intelligenza artificiale di ottenere risultati paragonabili a quelli dei modelli occidentali con minori costi e consumi energetici. Secondo l’IBL, questa dovrebbe essere una buona notizia per l’Europa: “Se possiamo competere senza un impatto ambientale eccessivo e senza investimenti pubblici giganteschi, perché non sfruttare questa occasione?”.
L’IBL sottolinea che l’innovazione tecnologica non si basa solo su potenza di calcolo e grandi finanziamenti, ma anche sulla creatività e sulla capacità di trovare soluzioni efficienti. “Se l’Europa vuole essere protagonista nella corsa all’intelligenza artificiale, deve riflettere su come le proprie regole possano incentivare, anziché ostacolare, lo sviluppo del settore”.
Regolamentazione e innovazione: un equilibrio necessario
Il problema, come evidenzia l’IBL, non è tanto la decisione specifica del Garante su DeepSeek, quanto il quadro normativo generale che si è venuto a creare in Europa. “Ci siamo dati regole stringenti per proteggere i cittadini dagli abusi, ma se queste norme finiscono per soffocare ogni possibilità di innovazione, forse è il momento di rivederle”.
L’IBL invita quindi a una riflessione più ampia: se l’Europa vuole essere competitiva nel settore dell’intelligenza artificiale, non può permettersi di essere il continente in cui si sperimenta meno. “L’innovazione ha bisogno di libertà: se non siamo disposti a concederla, non possiamo lamentarci del divario con Stati Uniti e Cina”.
Quello italiano è un sistema normativo che soffoca l'innovazione
Il caso DeepSeek, secondo l’Istituto Bruno Leoni, dimostra come l’Italia applichi con particolare rigore le normative europee sulla privacy, a discapito dell’innovazione. Se il blocco del servizio sia giustificato o meno è un tema di dibattito, ma il vero problema, secondo l’IBL, è più ampio: un sistema normativo che sembra più attento a limitare le novità che a favorire il progresso tecnologico. L’Europa può ancora giocare un ruolo da protagonista nel settore dell’intelligenza artificiale, ma solo se sarà in grado di trovare un equilibrio tra tutela dei dati e libertà di innovare.