Tonno & pomodori

- di: Andrea Colucci
 
Correva l’anno 2018 è qualcuno aveva dichiarato di voler aprire il parlamento come una scatoletta di tonno. Camera e Senato, non una sì e l’altro no. Non si spaventò nessuno e abbiamo visto in questi giorni come è andata a finire.
Quasi una legislatura dopo e tre governi passati è finita tra i pomodori. Quelli che virtualmente i partiti si sono tirati tra di loro e sicuramente hanno anche raggiunto il Premier Mario Draghi, chiamato diciotto mesi fa a salvare la patria finita nella solita ingovernabilità dei veti incrociati. Il susseguirsi degli avvenimenti è storia recente, con una escalation partita …. diciamo dall’elezione del Capo dello Stato in poi, fino ai pomodori di qualche giorno fa per l’appunto. L’irresponsabilità degli attori che hanno calcato questo palcoscenico, così come la rischiosità economica e sociale della situazione è cosa nota a tutti e rischierebbe oggi – dopo fiumi di resoconti media- di annoiare i lettori.

Quello che forse vale la pena sottolineare, l’aspetto un po' meno trattato ad oggi, è quello delle relazioni umane così come delle ambizioni e vocazioni dei singoli, almeno negli ultimi diciotto mesi. Si, perché a ben guardare nel “governo dei migliori” in pochi hanno toccato palla, tanto per usare una abusata metafora calcistica. Se escludiamo il ministro della salute, Speranza che ha operato in una legislatura che potremmo definire pandemica senza essere smentiti, non c’è un provvedimento eclatante che porti la firma di un partito specifico o di un singolo parlamentare. L’istituto della fiducia ha fatto da padrone e i migliori vi si sono accodati in virtù dell’eccezionalità della situazione. Quanto poteva durare tutto questo senza che le spinte al protagonismo tipiche della politica rompessero gli argini? Si potrebbe rispondere fino a fine legislatura in primavera 2023. Hic manebimus optime, con buona pace della pensione ai peones del parlamento. E invece no. La finestra era ora ed andava colta. La campagna elettorale estiva pur nella sua assurdità è un’occasione troppo ghiotta per riprendere visibilità. In fine un ultimo aspetto di cui qualcuno ha parlato ma abbastanza sottovoce.

Mi riferisco alla possibilità per chi arriverà al governo di determinare, o almeno orientare una buona parte della politica industriale del Paese, dal momento che in primavera 2023 andranno nominati i vertici e i consigli di amministrazione delle più grandi aziende statali (ENI, Enel, Poste, etc. ndr.). Ecco, lì il gioco si fa interessante, e non era affatto detto – anzi è vero il contrario- che i rinnovi lì avrebbe gestiti il nuovo governo entrante. Se i migliori non hanno toccato palla sull’ordinaria amministrazione figuriamoci se chi aveva le redini avrebbe lasciato questa incombenza al nuovo parlamento. Forse quest’aspetto è stato un po' sottovalutato, unitamente alla voglia dei parlamentari di togliersi la maschera dell’obbediente soldato -seppur chiamato ad un altissimo compito- per riprendere la propria faccia e la propria voce e giocare la partita in campo e non in panchina.

Forse questa sottovalutazione è la ragione che ci porterà al voto il prossimo 25 settembre. Ma votare in democrazia fa sempre bene. L’unico peccato è che andremo al voto con una legge elettorale mediocre; la stessa che non ha prodotto nella scorsa legislatura nessun vincitore, ma anzi ha consentito il formarsi di ben tre governi, ognuno formato da una maggioranza diversa. Non ci resta che sperare non nel “campo largo”, ma in una maggioranza, di qualsiasi sponda politica sia, veramente larga per garantire le riforme e le azioni ormai improrogabili per questo Paese. Tra queste magari una legge elettorale maggioritaria-uninominale forse l’unica in grado di garantire maggioranze e governi solidi.
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