Ofi Invest AM: l’inflazione Usa tornerà presso a ridursi

- di: Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM
 
Stando agli ultimi dati relativi allo scorso marzo, il mercato azionario ha raggiunto dei nuovi massimi, guidato soprattutto dalle parole al miele che le maggiori banche centrali hanno pronunciato nei loro ultimi meeting, in particolar modo la Federal Reserve, tanto che ad oggi l’inizio dell’allentamento della politica monetaria del 2024 appare solo una questione di tempo. Tuttavia, i dati hanno anche evidenziato come l’inflazione negli Stati Uniti sembri aver deragliato dal suo percorso verso gli obiettivi prefissati e la possibilità che la Fed debba rimangiarsi le sue affermazioni, mantenendo i tassi invariati fino alla fine dell’anno, è ad oggi uno dei maggiori pericoli per gli asset più rischiosi.

Nonostante l’inflazione non abbia dato segnali incoraggianti neanche a gennaio e a febbraio, per il momento la banca centrale statunitense sembra considerare ciò come un elemento di disturbo e non come un’autentica inversione del trend e, in verità, anche noi di Ofi Invest AM siamo allineati a questa visione, tanto che riteniamo che la disinflazione resti ancora lo scenario più probabile, anche se seguirà un percorso molto più graduale, soprattutto a causa della componente legata ai servizi, da sempre la più rigida, che da inizio anno ha vissuto un’impennata.

La prima motivazione per cui il nostro scenario di base resta la deflazione è da ricercare nella componente degli affitti, la quale dovrebbe continuare a contrarsi anche nei prossimi mesi, poiché il patrimonio immobiliare in affitto si adegua all’inflazione delle unità abitative attualmente disponibili per l’affitto, che è molto più moderato. Per dare un’idea, si consideri che l’indicatore di riferimento della Fed, ovvero il personal expenditure deflator, è già al di sotto del 3%, il che significa che l’immobiliare è valutato molto meno dell’indice dei prezzi al consumo. In secondo luogo, se si toglie la componente abitativa, l’inflazione legata ai servizi racchiude ambiti anche molto diversi tra loro e, a nostro avviso, gran parte della nuova accelerazione dei prezzi non è dovuta alla forza dell’economia statunitense (e, quindi, all’aumento della domanda), ma piuttosto a fattori di circostanza che probabilmente svaniranno presto (come le riparazioni auto e i costi assicurativi, compresi nei servizi di trasporto). A dimostrazione di ciò, quelle componenti dell’inflazione che sono maggiormente guidate dalla domanda, come l’intrattenimento, si stanno già affievolendo. Inoltre, anche la pressione derivante dai costi sulle imprese si sta allentando. Infine, la graduale normalizzazione del mercato del lavoro, riscontrabile, ad esempio, nella moderazione del tasso di dimissioni, è storicamente foriero di minori pressioni sulla crescita salariale e i forti incrementi di produttività stanno contribuendo a mitigare le pressioni sui prezzi.

Se tutto ciò dovesse dimostrarsi accurato, è probabile che la Fed inizi ad abbassare i tassi a giugno. Tuttavia, ciò non significa che non ci siano rischi e l’inflazione potrebbe comunque rivelarsi più vischiosa del previsto, a causa della componente dei servizi e/o di una riaccelerazione di quella nei beni materiali. Se l’inflazione dovesse sorprendere ancora una volta al rialzo, la Fed potrebbe rinviare il primo taglio dei tassi fino a quando non sarà più sicura che l’inflazione sarà al 2% su una base sostenuta; uno scenario che potrebbe alimentare l’incertezza sui mercati.

Questi rischi sembrano essere meno pronunciati nell’Unione Europea, dove appare più sicuro il primo taglio dei tassi da parte della Bce. Pur ribadendo la propria dipendenza dai dati, l’istituto presieduto da Christine Lagarde sta preparando il terreno per un primo taglio dei tassi, sottolineando che “ne sapremo molto di più a giugno”. Riteniamo che entro giugno la Bce sarà in grado di confermare che il picco della fase di recupero salariale e, quindi, il picco della pressione sui costi delle imprese è passato. I dati flash sull’inflazione di marzo confermano tuttavia la necessità di attendere tali dati, poiché il calo della componente core al di sotto del 3% su base annua per la prima volta nel febbraio 2022 è stato dovuto esclusivamente all’ulteriore disinflazione dei prezzi al consumo alimentari e manifatturieri, mentre l'inflazione nei servizi si è mantenuta al 4,0% da novembre. Dopo la riunione di giugno, le condizioni macroeconomiche dovrebbero sostenere la graduale prosecuzione dell'allentamento monetario, al fine di sostenere una timida ripresa nell'Eurozona, attualmente frenata dalla debolezza della Germania.
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