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Le persone muoiono, l’ignoranza no

- di: Barbara Leone
 
L’ignoranza non si ferma mai. Nemmeno davanti alla morte. Così come l’omofobia, che peraltro è una delle forme più becere di ignoranza. E così succede che alle porte di Torino, e più precisamente a Torre Pellice, muore Adriano Canese, 76 anni, protagonista delle prime radio libere piemontesi. Voce gentile e sguardo aperto sul mondo, che nel 1975 fondò insieme ad altri Radio Koala, una delle voci più ascoltate e seguite della città. Anni dopo mise su Radio Armonia, iniziativa condivisa con Corrado Brun, suo compagno di vita oltre che di lavoro. Trentanove anni d’amore culminato il 24 dicembre 2016 con la loro unione civile. Una delle prime in Piemonte,  visto che la legge in materia è datata maggio 2016. Da allora è passata qualche primavera e un po’ d’acqua sotto ai ponti a rinfrescar anime e coscienze. E’ passato pure il covid, al suon di “andrà tutto bene” e “ne usciremo migliori”. Che diciamo la verità: pensavamo, e soprattutto ci speravamo, che potesse esser così. Non è cambiato niente. Anzi, siamo ad un livello di abbrutimento massimo. E ciò che è successo ad Adriano, o meglio lo sfregio fatto alla sua memoria, né è la riprova. Perché bisogna essere proprio vigliacchi, meschini e ignobili per imbrattare un manifesto funebre scrivendo nero su bianco a caratteri cubitali la parola “froci” accanto al nome di una persona appena scomparsa. Il troglodita di turno non ha evidentemente gradito che nell’avviso funebre vi fosse scritto: “ne dà il triste annuncio il coniuge Corrado Brun”.

Il risultato è stato uno stampatello inciso su di un adesivo, perché evidentemente era tale la vigliaccheria e la paura d’esser colto in flagrante che il responsabile (o i responsabili) ha ben pensato di attaccare  frettolosamente adesivi qua e là alla bene e meglio. Un gesto schifoso della più schifosa omofobia, che ben s’appaia ai recenti insulti di Morgan scagliati dal palco, o alle squallide dichiarazioni del Vannacci sulla “non normalità” degli omosessuali. Un gesto che peraltro la dice sull’aria che tira: perché se un uomo muore e tu ti prendi la briga di andare a imbrattare il suo pubblico necrologio scritto da suo marito con l’insulto “froci”, non sei solo tu ad essere una cloaca umana. Ma lo è anche il contesto sociale in cui vivi e che invece di andare avanti gronda ignoranza e pregiudizi. Non solo: perchè direttamente o indirettamente, avalla, e anzi a volte stimola proprio, certi squallidissimi comportamenti. Sono i messaggi subdoli ed equivoci, di quelli che “ho amici gay ma”, sono le battutine biascicate tra i denti, le paroline di derisione sussurrate per strada. Sono certi talk ove vengono invitati personaggi livorosi che veicolano informazioni distorte e pensieri carichi d’odio partoriti da menti piccole e misere.

Ma ad esser responsabile è soprattutto la non chiarezza. Il non prendere posizione da parte delle istituzioni che dovrebbero difendere sempre e comunque i cittadini indipendentemente dall’orientamento sessuale, come Costituzione recita. Forse, ma senza forse, sarebbe davvero ora di punire una volta per tutti certi comportamenti malvagi e incivili e di chiamare le cose, rendendole reato, con il proprio nome: omofobia. Perché possiamo indignarci e ricamarci sopra quanto ci pare, ma la realtà è che certe persone non possono farcela: concetti come uguaglianza e libertà non riescono a concepirli. Ancor di più in un Paese che in maniera strisciante, ma neanche tanto, è pervaso da cattiveria, arroganza e disumanità. Un Paese per certi versi perfido e malato, psicologicamente debilitante. In cui le persone muoiono, ma l’ignoranza no.
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