Italia arretra di 15 posizioni nel report Climate Change Performance Index 2024

- di: Mauro Albrizio di Legambiente
 
Oggi è stato presentato il rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia.

Nel rapporto si prende in considerazione la performance climatica di 63 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.

Nonostante il boom delle rinnovabili, infatti, la corsa contro il tempo continua. Entro il 2030 le emissioni globali vanno quasi dimezzate, grazie soprattutto alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili. Alla COP28 in corso a Dubai, pertanto, è cruciale raggiungere un accordo ambizioso che preveda di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica ed avviare da subito il phasing-out delle fossili. Solo così sarà possibile una drastica riduzione entro il 2030 dell’utilizzo di carbone, gas e petrolio, mantenendo ancora vivo l’obiettivo di contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.

Si conferma in testa alla classifica con il quarto posto la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti ed allo sviluppo delle rinnovabili. Seguono Estonia (5°) e Filippine (6°) che rafforzano la loro azione climatica nonostante le difficoltà economiche. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti (65°), Iran (66°) e Arabia Saudita (67°).

La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, rimane stabile al 51° posto dello scorso anno. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili ed il miglioramento dell’efficienza energetica, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone. Invece gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, si posizionano al 57°posto. Un passo indietro di cinque pozioni rispetto allo scorso anno, dovuto all’ancora scarsa attuazione delle misure previste dall’Inflation Reduction Act, che destina un considerevole sostegno finanziario per l’azione climatica. Solo tre membri del G20, India e Germania (14°) insieme all’Unione Europe (16°), sono nella parte alta della classifica. La maggior parte dei Paesi del G20, invece, si posiziona nella parte bassa. Mentre Canada (62°), Russia (63°), Sud Corea (64°) ed Arabia Saudita (67°) sono i Paesi del G20 con la peggiore performance climatica.

L’Italia arretra, rispetto allo scorso anno, di ben 15 posizioni scendendo al 44°posto della classifica. Risultato raggiunto soprattutto per il rallentamento della riduzione delle emissioni climalteranti (37° posto della specifica classifica) e per una politica climatica nazionale (58° posto della specifica classifica) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica. Infatti, l’attuale aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40.3% rispetto al 1990. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal PNRR.

Serve una drastica inversione di rotta. L’Italia può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65%, in coerenza con l’obiettivo di 1.5°C, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. Secondo il Paris Compatible Scenario elaborato da Climate Analytics, il nostro Paese è in grado di ridurre le sue emissioni climalteranti di almeno il 65% grazie al 63% di rinnovabili nel mix energetico ed al 91% nel mix elettrico entro il 2030. E così arrivare nel 2035 al 100% di rinnovabili nel settore elettrico, confermando il phase-out del carbone entro il 2025 e prevedendo il phase-out del gas fossile entro il 2035. In questo modo sarà possibile raggiungere la neutralità climatica già nel 2040.

Potenzialità confermate da Elettricità Futura che nel suo piano prevede l’84% di rinnovabili nel mix elettrico entro il 2030 con 85 nuovi GW installati, insieme alla realizzazione di 80 GWh di nuova capacità di accumulo di grande taglia, in grado di ridurre le importazioni di gas fossile di ben 20 miliardi di m3. Con benefici davvero importanti per l’economia, la società e l’ambiente. Si tratta di 320 miliardi di euro di investimenti cumulati al 2030 del settore elettrico e della sua filiera industriale, 360 miliardi di benefici economici cumulati al 2030 in termini di valore aggiunto per filiera e indotto, 540 mila di nuovi posti di lavoro (che si aggiungono agli attuali 120 mila) e una riduzione nel 2030 di almeno il 75% delle emissioni di CO2 del settore elettrico rispetto ai livelli del 1990. A tutto questo si aggiungerebbe la possibilità di ridurre entro il 2030 di ben 160 miliardi di m3 le importazioni di gas fossile con un risparmio di 110 miliardi di euro. E le imprese sono pronte a fare ancora di più per centrare l’obiettivo del 100% di elettricità rinnovabile entro il 2035, come dimostrano le 5.054 richieste di connessione a Terna per 317,7 GW e gli oltre 1.300 progetti in attesa di valutazione. A cui si aggiunge il contributo delle Comunità Energetiche Rinnovabili che uno studio Elemens per Legambiente stima in almeno 17 GW entro il 2030.

Solo così sarà possibile vincere la sfida della duplice crisi, energetica e climatica, che rischia di mettere in ginocchio l’Italia.
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