Il ministro Giorgetti alla Giornata Mondiale del Risparmio: “Non c’è risparmio senza fiducia”

 
Il ministro Giancarlo Giorgetti ha partecipato alla 99esima edizione della Giornata Mondiale del Risparmio organizzata a Roma dall’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio (ACRI). Di seguito il testo integrale del suo intervento.

“Ringrazio anzitutto Lei signor Presidente, per questo invito, il Presidente Patuelli e il Governatore Visco, affrontando un tema che riassume molta parte delle questioni prioritarie di carattere strategico su cui il nostro Paese si sta misurando. Ovviamente non sfugge a nessuno dei presenti la coincidenza temporale tra l’odierno convegno e il lavoro che il Governo ha concluso proprio in queste ore per la definizione dei contenuti della manovra di bilancio.

In qualità di Ministro dell’economia e delle finanze non posso esimermi dallo svolgere alcune considerazioni “di contesto” che collochino il mio contributo nell’ambito degli indirizzi più generali di politica economico-finanziaria che il Governo intende perseguire.

Partirei da una premessa: l’Italia, nonostante le difficoltà derivanti da un quadro globale contrassegnato da molteplici fattori di incertezza e precarietà, continua a registrare una propensione al risparmio significativa. Ciò lungi dal costituire un elemento di ritardo culturale, come frettolosamente si potrebbe ritenere, costituisce invece un elemento di solidità che concorre in misura decisiva alla stabilità del sistema italiano nel suo complesso. Una certa vocazione parsimoniosa degli italiani ha infatti evitato di esporci alle periodiche e sempre più frequenti crisi finanziarie generate dalle bolle speculative che di volta in volta in altri Paesi, in primo luogo negli Stati Uniti, si manifestavano anche per l’elevato livello di indebitamento del settore privato oltre che per la maggiore disinvoltura dei relativi sistemi finanziari nella concessione di crediti senza le adeguate garanzie. Ritengo quindi, che il Paese nel suo complesso dovrebbe valorizzare di più questo elemento di forza che dovrebbe indurre anche gli osservatori esterni a valutare in termini meno critici la stabilità finanziaria complessiva dell’Italia.

Queste considerazioni non devono ovviamente indurre a sottovalutare il tema del livello elevato del debito pubblico. È il nostro punto debole.

Dopo anni di bassi tassi di interesse e con l’impennata del suo stock indotta dagli “scostamenti” di bilancio, in risposta alla pandemia e alle conseguenze della guerra in Ucraina, è suonata la sveglia!

Più debito significa più spesa per interessi e più spesa per gli interessi significa risorse sottratte al sostegno alle famiglie ed alle imprese. L’equazione è semplice ma non sempre sufficientemente chiara agli attori politici e sociali.

Proprio in queste settimane si è fatto particolarmente serrato il confronto nell’ambito dell’Unione europea sulle nuove regole della governance economico-finanziaria da applicare una volta esaurita l’attuale fase transitoria contrassegnata dall’impatto fortissimo della pandemia sugli andamenti macroeconomici e sulle finanze pubbliche dei Paesi membri.

 Come è noto, l’Italia insieme ad altri ha segnalato la necessità di ripensare alle regole alla luce di uno scenario internazionale caratterizzato da una accelerazione della competizione delle cosiddette economie emergenti e dal susseguirsi di fattori di criticità che rendono oggettivamente più difficile definire un quadro previsionale di finanza pubblica a medio-lungo termine. Difficile quindi discutere di patto di stabilità quando tutto attorno a noi è instabile. Le regole devono essere serie, credibili, comprensibili e quindi realistiche.

In particolare, è stata evidenziata la necessità di riconoscere uno spazio adeguato ad alcune tipologie di spese per investimenti, con particolare riferimento a quelli, assai consistenti, che stanno impegnando i nostri sistemi economici nelle difficili transizioni e in relazione alle maggiori esigenze di sicurezza e difesa. È la posizione italiana che non trova un ampio consenso, ma che noi ribadiamo con forza non per ragioni opportunistiche, ma perché riteniamo che debba esserci una coerenza logica tra obiettivi politici strategici, qual difesa e transizione energetica, e regole fiscali di bilancio che ne consentano l’attuazione.

Il negoziato in corso coincide con gli obblighi connessi alla definizione della manovra di bilancio per la quale il Governo ha inteso adottare un approccio ispirato alla necessaria cautela e prudenza.

Vi garantisco che non è stato facile il confronto all’interno dell’esecutivo per “scremare” le diverse istanze, tutte legittime, che erano state rappresentate.

Si è ritenuto di privilegiare in questa fase gli obiettivi di sostegno al reddito dei ceti meno abbienti, più esposti all’impatto fortissimo di un livello di inflazione che nei decenni scorsi era assolutamente sconosciuto e che ora ha ridotto la capacità di spesa di tante famiglie.

Inflazione che ha prodotto l’ulteriore conseguenza negativa di intaccare parzialmente il patrimonio assai consistente del risparmio accumulato dalle famiglie italiane.

 Mi auguro davvero che le previsioni confortate oggi dai dati Istat su un forte ridimensionamento del tasso di inflazione nel prossimo futuro possano trovare riscontro nella realtà, anche perché l’andamento dei prezzi non è stato lineare ed omogeneo registrandosi, piuttosto, forti distorsioni dei prezzi relativi che hanno inevitabilmente impattato anche sulla distribuzione del reddito.

La politica monetaria restrittiva delle banche centrali comincia a produrre i suoi effetti: sia sotto l’aspetto del rallentamento dell’inflazione, sia sul rallentamento della crescita, anzi direi oggi l’azzeramento. Il saggio azionamento delle leve di politica monetaria, la ponderazione rispetto al raggiungimento dei target d’inflazione di fondo potrà evitare di pagare un prezzo eccessivo e scongiurare la recessione dell’economia reale. E quindi, nel contesto della fine della globalizzazione deflazionaria e l’inizio della deglobalizzazione inflazionaria, il Governo ha dovuto fare scelte dolorose anche rimediando a gravi errori compiuti in passato che hanno prodotto un carico notevolissimo sulla finanza pubblica. Non tutto però può essere imputato alla responsabilità della classe politica. Il livello di debito sul PIL sarebbe minimamente più accettabile se fosse depurato dalla quota imputabile a choc esogeni: dalla crisi finanziaria di Lehman Brothers  alla crisi pandemica e al conflitto ucraino.

Allo stesso tempo, sia pure in uno scenario contrassegnato da tanti elementi di precarietà ed incertezza, si è inteso rassicurare gli italiani per rafforzare il patto di fiducia tra cittadini ed istituzioni e che è alla base della legittimazione dello stesso sistema democratico.

Rivendico, quindi, con soddisfazione il riscontro più che positivo che gli italiani hanno dato al collocamento di titoli pubblici specificamente destinati ai piccoli risparmiatori.

Si tratta di un segnale molto importante di un rapporto che deve ispirarsi alla massima correttezza e fiducia reciproca tra risparmiatori e lo Stato e che si inserisce in una strategia di più ampio respiro volta a collocare parte del debito pubblico all’interno del nostro Paese come è giusto che sia, soprattutto quando si tratta, come nel PNRR, di finanziare interventi per spese per investimenti destinati auspicabilmente a produrre un vantaggio economico che non si esaurisce nel breve termine ma di cui si avvantaggeranno anche le prossime generazioni.

Il BTP è buono, cioè ha valore se finanzia spesa produttiva oppure spesa sociale equamente redistribuita. Il discernimento su questo aspetto rappresenta il “cuore” di ogni decisione politica.

Più in generale, ritengo che nel nostro Paese si debba aprire un confronto ampio sull’utilizzo del risparmio italiano che non è interamente collocato nei conti correnti ma che già oggi assume forme e destinazioni diverse, anche in relazione alle esigenze di ordine previdenziale.

Un confronto ampio che si avvalga di tutti i contributi che possono essere forniti dai soggetti più qualificati e dalle organizzazioni rappresentative del sistema finanziario dovrebbe ispirarsi all’obiettivo di una corresponsabilizzazione e di una valorizzazione del patrimonio formidabile costituito dal risparmio degli italiani per sostenere le potenzialità di crescita della nostra economia e, conseguentemente, assicurare prospettive meno precarie alle prossime generazioni.

I dati più recenti ci dicono che il sistema economico italiano, nonostante tutte le difficoltà, è riuscito a reggere di fronte alla concomitanza di tanti fattori critici.

Il tasso di disoccupazione si va riducendo; le misure adottate dal Governo per la riduzione del cuneo fiscale sono proprie volte a privilegiare il fattore lavoro e a promuovere la nuova occupazione.

Esiste drammaticamente un problema di equità intergenerazionale aggravato dall’andamento demografico che colloca il nostro Paese tra quelli che in prospettiva registreranno il più rapido processo di invecchiamento.

Se riusciremo ad evitare il rischio, che non sembra del tutto improbabile, di una nuova fase recessiva a livello globale assicurando accettabili tassi di crescita, potremo realisticamente ridurre progressivamente il peso del debito pubblico, creare nuove opportunità di occupazione e concorrere alla sostenibilità complessiva del nostro Paese.

Il Governo dispone di alcune leve, oggettivamente limitate, per i margini più ridotti rispetto a quelli a disposizione di altri partner europei, per lavorare in questa direzione.

Per questo auspico una lettura più compiuta e consapevole delle diverse iniziative già adottate, ivi comprese quelle inserite nell’ambito del disegno di legge di bilancio in corso di definizione e di quelle che il Governo intende porre in essere nei prossimi mesi che chiamano al concorso comune tutti i settori, anche quello del credito.

Vi chiedo di condividere la complessità del quadro entro cui il Governo è chiamato a muoversi e lo sforzo che comporta l’approccio cauto e prudenziale che si è deciso di adottare per trasmettere un messaggio chiaro sulla sostenibilità del sistema italiano.

In conclusione, stiamo lavorando per consolidare la fiducia dei risparmiatori, e più in generale dei mercati, nei confronti del nostro Paese.

La fiducia è l’attivo più prezioso di qualunque istituzione finanziaria, e la fiducia di chi investe o calcola una propria qualunque scelta finanziaria, non può restare generica, concessa a un nome o per una pubblicità. Si richiede un minimo di conoscenza, senza della quale una scelta non s’accorda alla prudenza, ed al buon senso. Tanto più in decenni come questi di mutamenti vertiginosi, che generano motivazioni troppo spesso ingiustificate ed emotive.

E appunto per coltivare questa fiducia, occorre migliorare il livello complessivo di consapevolezza sulle tematiche finanziarie, obiettivo per cui è indispensabile lavorare sul tema dell’educazione finanziaria, pilastro fondamentale della cittadinanza.

A tal fine, all’interno del disegno di legge sugli “Interventi a sostegno della competitività dei capitali”, approvato dal Senato e all’esame della Camera dei deputati, abbiamo inserito l’educazione finanziaria nell’ambito dell’educazione civica, attuando un diritto all’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Daremo la maniera agli studenti di essere meglio a loro agio nelle scelte, così da migliorare via via l’inclusione finanziaria dei cittadini.

Serietà, responsabilità, prudenza sono le basi su cui si costruisce e rafforza la fiducia.

Senza fiducia non c’è risparmio.

Senza fiducia e risparmio non ci sono investimenti.

Senza investimenti non c’è crescita e senza crescita non c’è futuro”.

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