Buoni pasto addio? Commercianti e ristoratori: riforma o non li accetteremo più

- di: Barbara Leone
 
Buoni pasto, che non sono più buoni. A dirlo sono le principali associazioni di categoria del comparto ristorazione e distribuzione commerciale che ritengono i ticket erogati a favore dei lavori delle vere e proprie tasse occulte. L’allarme è stato lanciato ieri da Ancd Conad, Ance Coop, Fiepet Confesercenti, Federdistribuzione, Fida e Pipe Confcommercio alla vigilia della gara BP10 indetta da Consip. La situazione, dicono, non è più sostenibile. E per questo hanno firmato un manifesto in cui chiedono la riforma del sistema ticket. Ovvero, l’introduzione della salvaguardia del valore nominale e la definizione di tempi certi per il pagamento dei rimborsi. Lo stato delle cose è che, ad esempio, nel 2019 sono stati emessi 500 milioni di buoni pasto per  un valore complessivo di 3,2 miliardi di euro. A beneficiarne sono stati circa tre milioni di lavoratori, di cui un milione dipendenti pubblici, per i quali i buoni pasto rappresentano un’importante integrazione salariale. Facendo due conti, ogni giorno i lavoratori usano 13 milioni di buoni pasto, ma per ciascun buono da 8 euro gli esercenti ne incassano poco più di sei. Una volta poi scalati gli oneri di gestione e quelli finanziari si registra un deprezzamento del 30%. In soldoni: ogni 10mila euro di buoni incassati gli esercizi ne perdono circa 3mila.


COMMISSIONI SUI BUONI PASTO

Gli esercenti si sono trovati a pagare commissioni medie anche del 19,8%

Un sistema, questo, che non funziona e che soprattutto arreca notevoli danni ai commercianti che chiedono a gran voce di raddrizzare il tiro. Innanzitutto con la riduzione delle commissioni, attualmente a due cifre. E poi attraverso la revisione della gara, che è ancora in fase di pubblicazione. Secondo le associazioni di categoria, infatti, la stazione appaltante per il servizio di buoni pasto all’interno della pubblica amministrazione (alias la Consip) effettua le gare solo nominalmente con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Di fatto però, dicono, l’operazione si traduce nell’aggiudicazione a chi offre il prezzo più basso. Tant’è vero che nel corso delle ultime due gare gli esercenti si sono trovati a pagare commissioni medie anche del 19,8%. Col risultato che, conti alla mano, il risparmio della pubblica amministrazione viene scaricato per larga parte sugli esercenti. Qualcosa, insomma, va cambiato. In caso contrario, i responsabili della Gdo e della ristorazione minacciano di non accettare più i ticket. Con tutte le conseguenze del caso, dal momento che ciò rappresenterebbe un grosso danno per tutti quei lavoratori che utilizzano questo strumento. E mese per mese ci fanno conto. Manco a dirlo, infatti, le associazioni varie che tutelano i consumatori sono già sul piede di guerra. Una guerra tra poveri, peraltro. Ove a vincere, pare, sono sempre i più forti.
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