Le tre P dell'Onu sempre più centrali nella comunicazione d'impresa: parla Carlotta Ventura (A2A)
- di: Redazione
Cosa significa essere la prima Life Company italiana, cosa esprime il Piano industriale 2021-2030 e come è avvenuto il superamento del concetto di multiutility per approdare a pieno titolo a quello di Life Company. Il percorso di riposizionamento del Gruppo e del suo brand, le nuove generazioni come grandi alleate di un obiettivo di sostenibilità a 360 gradi, i cambi di paradigma nell’intervista a Carlotta Ventura, Direttore Communication, Sustainability and Regional Affairs del Gruppo A2A.
Intervista a Carlotta Ventura, Direttore Communication, Sustainability and Regional Affairs del Gruppo A2A
Il piano industriale 2021-2030 di A2A ha accompagnato il Gruppo da multiutility a Life Company nel percorso di riposizionamento di A2A e del suo brand. Dottoressa Ventura, può presentarci gli elementi chiave del progetto di brand repositioning del Gruppo?
Lo scorso anno A2A ha presentato il suo primo Piano Industriale decennale. Un piano con un orizzonte temporale di così lungo periodo deve essere raccontato a interlocutori molto diversi tra loro ed è essenziale essere rilevante per ciascuno di essi. Insieme al nuovo piano industriale abbiamo avviato un percorso di riposizionamento del Gruppo che puntava a definire il nuovo territorio di marca in cui lavoriamo. Ci occupiamo di energia, acqua e ambiente, settori che impattano fortemente sulla qualità della vita delle persone: per questo A2A è una “Life Company”. Abbiamo una grande responsabilità: assicurare il benessere oggi ed un futuro sostenibile per le generazioni che verranno e per fare questo è necessaria un’azione quotidiana che concretizzi ciò di cui parliamo.
La transizione energetica e l’economia circolare sono i due pilastri del piano industriale a cui contribuiscono tutte le attività del Gruppo: investimenti rilevanti in settori strategici, che contribuiscono alla crescita del Paese.
Il nuovo posizionamento esplicita ed evidenzia quello che era già nei fatti o si tratta di un passo in avanti nella vision e nella mission aziendale?
Il nuovo posizionamento non ha rappresentato uno strappo con il passato. È stata piuttosto una vera e propria presa di coscienza di quella che è l’identità tangibile e intangibile dell’azienda, per questo motivo è stato molto semplice raccontare la Life Company a tutta la comunità A2A e ottenere un ottimo riscontro dai circa 13mila dipendenti, dai vertici a tutti i colleghi, che in questo concetto si sono identificati; avere ben chiara la nostra mission aiuta tutti a lavorare meglio.
Il nuovo piano industriale di A2A così come il rebranding è stato presentato in un momento storico ed economico molto delicato a causa della pandemia. Nel libro di Stefano Gnasso ‘Pandexit’, lei definisce le crisi di questo tipo come ‘driver della comunicazione’ e come ‘un’opportunità per essere più green, responsabili, sostenibili’. Qual è stato, dal suo punto di vista, l’impatto del Covid-19 rispetto a scelte aziendali così rilevanti come quelle che ha intrapreso A2A?
Ho curato una parte del libro del Professor Gnasso e ho analizzato come ogni crisi rappresenti la possibilità di portare alla luce un nuovo modo di vedere le cose, di consentire una rielaborazione di concetti e modelli. La sensibilità verso il tema della sostenibilità da parte di cittadini, aziende, istituzioni è certamente legata al grande impatto di un tema quale il Climate Change, ma è stata grandemente accelerata e ampliata dall’arrivo della pandemia da Covid 19. Proprio il climate change è una tematica che ha subito un lungo processo per cui si è passati da un’attitudine volontaristica ad una doveristica: una presa di coscienza trasversale a tutte le generazioni sul fatto che sia indispensabile occuparsi dell’ambiente che ci circonda. Per A2A è una sfida che ci siamo impegnati ad affrontare per dare il nostro contributo ad una crescita sostenibile del Paese. Per un’azienda di successo, l’impegno sociale e la sostenibilità ambientale sono sempre meno una scelta e sempre più un’esigenza.
Il Censis, nell’indagine ‘Miti dei consumi, consumo dei miti” rileva che oggi i brand non scelgono ma vengono per lo più scelti, affermando che “per catturare mente, cuore e portafoglio del nuovo consumatore occorre inseguirlo nei diversi canali di comunicazione”. In tale ottica di comunicazione integrata come si caratterizza il brand repositioning di A2A?
Abbiamo concepito un format di comunicazione che rappresentasse le attività in cui siamo impegnati e fosse trasversale a tutta l’azienda, coerente nel comunicare al nostro interno così come all’esterno. Il claim del format è ‘La vita è più azzurra”, che collega il nuovo posizionamento come Life Company con l’azzurro, lo storico colore identitario di A2A.
Tutto questo ci consente di raccontare in maniera coerente e sistemica il nostro purpose, la nostra ragion d’essere, e conferire un significato concreto alle azioni quotidiane che A2A mette in campo a favore della transizione ecologica.
L’incremento esponenziale delle informazioni disponibili, la condivisione delle esperienze di consumo, la progressiva riduzione delle asimmetrie informative hanno generato una proliferazione di dati su preferenze, scelte, atteggiamenti e comportamenti individuali e sensibilmente accresciuto l’empowerment dei consumatori, rendendo le marche sempre più orientate a scambio, partecipazione e collaborazione. Condivide questo scenario tracciato dai più importanti esperti di comunicazione e marketing?
Lo condivido totalmente, ma l’affollamento di informazioni può creare disorientamento. La parola chiave deve essere credibilità: il vero collante che avvicina le aziende ai clienti, ai cittadini, alle istituzioni, è la fiducia. Oggi si parla di capitale relazionale esterno, che si lega a quello reputazionale: fa riferimento al giudizio nei confronti delle imprese, al grado di fidelizzazione del cliente e alle relazioni di fiducia che l’azienda è in grado di costruire e mantenere. Oggi la sfida è allargare e consolidare il proprio capitale relazionale attraverso comportamenti agiti e risultati tangibili: la comunicazione d’impresa deve puntare al “first act, then talk” -superando il ‘walk the talk’ del marketing degli ultimi anni - e raccontare la sostanza, la concretezza delle azioni davvero messe in campo.
Grandi alleati nel percorso di A2A nell’operazione di brand repositioning saranno certamente i giovani e in particolare la Generazione Z, che è differente da quella dei ‘millennials’ pur avendo con essa dei tratti comuni. A suo parere che cosa cercano e cosa si aspettano questi giovani e verso di essi come deve cambiare il paradigma della comunicazione?
La Generazione Z, così come quella Alpha, è fondamentale per la transizione ecologica: i giovani sono i veri esperti in tematiche ambientali e sono coloro che influenzano i comportamenti all’interno delle famiglie. Inoltre, sono queste le generazioni che dovranno convivere un domani con i risultati di ciò che oggi si sta facendo per la lotta al climate change. Il piano industriale di A2A è stato definito/progettato pensando a loro per definire ciò che è necessario rendere concreto nell’immediato. I giovani vanno ascoltati, e non si può pensare di ridurre l’effetto di Greta Thunberg o di qualsiasi movimento simile ad un rumore di fondo: è fondamentale che un’azienda che pensa al futuro ascolti la loro voce con attenzione.
Il cambiamento di paradigma in ambito comunicativo è anche al centro del libro ‘Pandexit’, dove lei sostiene che ‘nella comunicazione delle imprese si è affermata la centralità delle 3 P dell’ONU (People, Planet, Prosperity)’. Quale ruolo ritiene che abbiano avuto tali elementi nel rebranding di A2A?
Più che nel rebranding, questi sono elementi centrali proprio nella strategia e nel piano industriale di A2A. La sostenibilità è il fulcro dei business del Gruppo e le 3 P, di conseguenza, sono intrinseche nelle nostre attività quotidiane. Non si tratta di effettuare un cambiamento di paradigma solo in ambito comunicativo, si tratta di cambiare realmente la strategia aziendale: la transizione ecologica è un obbligo, la sostenibilità è una guida imprescindibile. Nel libro infatti sosteniamo il superamento dell’effimero, la prefazione del volume è stata scritta da Padre Spadaro che ci ha aiutato moltissimo a ragionare su questo tema. Socialwashing, pinkwashing, greenwashing sono pratiche vacue, prive di un reale contenuto, di cui oggi si sente molto parlare: bisognerà capire se questa mancanza di concretezza legata a temi così importanti verrà perdonata dalle nuove generazioni.
Inclusivity è un’altra delle parole d’ordine del nuovo ecosistema sostenibile. È anch’esso uno degli elementi fondamentali del vostro progetto?
Certamente. Innanzitutto fa parte degli SDGs, gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite ai quali sono allineati circa il 90% degli investimenti del Piano Industriale di A2A. E un Piano non può essere definito sostenibile se non contempla l’inclusività, intesa non solo come gender balance ma come rispetto e valorizzazione di ogni diversità.
Ogni riposizionamento di brand presenta dei rischi da evitare e potenzialità da prevedere. Cosa tenete maggiormente d’occhio nello sviluppo del vostro progetto?
Facciamo ricerche continuative e teniamo sotto controllo la reputazione, il sentiment, tutti i temi di business, l’avanzamento del piano, i rating SDGs.
Può definire con tre parole chiave il vostro progetto di brand repositioning?
Da multiutility a Life Company.
Lei è Docente nella Scuola Politica ‘Vivere nella Comunità’, la prima Scuola Politica apartitica e multidisciplinare in Italia. Cosa significa per lei collaborare a questo prestigioso progetto formativo, unico nel suo genere, che punta a formare un ceto dirigente più preparato, consapevole e caratterizzato da una spinta all’impegno civile?
Arrivati ad un certo punto della propria carriera e maturità come manager, si sente l’esigenza di condividere le proprie esperienze e di confrontarsi con le nuove generazioni. Ragionare con i giovani consente di apprendere nuovi linguaggi, una visione del mondo e delle opportunità più fresca e ottimistica. Per me poter partecipare alla Scuola è quindi una opportunità straordinaria di raccontare l’esperienza che ho fatto, le tecniche che ho imparato e la filosofia migliore per guidare un team, dagli studenti in cambio ricevo stimoli e energia. E’ uno scambio davvero alla pari, come spesso accade nelle docenze. Senza dimenticare che a mia volta sono studente in molte delle occasioni organizzate dalla Scuola, in cui si ha l’opportunità di ascoltare grandi e generosi Professori.
La Scuola Politica è composta da un corpo docenti di altissimo livello: professori universitari, amministratori delegati, presidenti di società, dirigenti della pubblica amministrazione, manager ed esperti professionisti, tutti muniti di un’elevata capacità didattica e di una profonda esperienza. La parola d’ordine è multidisciplinarietà, fattore che ancora appare carente nelle Università italiane. Perché a suo parere oggi la multidisciplinarietà è un valore aggiunto fondamentale?
Perché la duttilità di pensiero e l’ibridazione delle competenze sono elementi chiave per la crescita di un manager strategico. La specializzazione è importante, ma saper collegare e interpretare correttamente informazioni diverse è quello che consente la rotondità del pensiero e quindi la lucidità delle scelte. Gli studenti sono davvero fortunati perché hanno accesso a un team di mentor che in poche occasioni si possono incontrare. La scuola ha attivato un effetto get member get attorno ai suoi Fondatori che consente ai ragazzi di confrontarsi con chi sa e gestisce. Un’occasione rara.
Nella Scuola Politica sono presenti alcune delle figure più importanti del nostro Paese come i Professori Cassese, Capaldo, Cartabia, Profumo, Mattarella, insieme a Carlo Messina e Stefano Lucchini e a molti altri. Una mobilitazione così forte a autorevole non si era mai vista? È lo specchio di un punto di svolta per il Paese, di cui oggettivamente si sente la necessità urgente?
È lo specchio della generosità delle persone che partecipano a un progetto importante regalando la cosa più preziosa: il loro tempo ai più giovani.