Dopo oltre cento giorni dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, arriva il primo segnale concreto di distensione tra Stati Uniti e Cina sul fronte del commercio. A Ginevra, al termine di due giorni di colloqui tecnici, le delegazioni dei due Paesi hanno annunciato un’intesa preliminare per la creazione di un meccanismo bilaterale permanente sui dazi. L’accordo – definito dai negoziatori “un punto di partenza utile” – prevede incontri periodici, un canale diretto per la gestione delle controversie e un tavolo di lavoro sul riequilibrio delle politiche tariffarie. I dettagli verranno diffusi nelle prossime ore, ma il cambio di tono è già evidente.
Usa-Cina, primo patto commerciale nell’era Trump 2.0: riapre il confronto sui dazi
Non si tratta di una svolta, ma di un riadattamento. La dottrina economica dell’amministrazione Trump non cambia: protezionismo selettivo, tutela dell’industria interna, contenimento della Cina come potenza sistemica. Eppure, a tre mesi dall’insediamento, la Casa Bianca ha scelto di riaprire la via negoziale per raffreddare un fronte che rischiava di destabilizzare i mercati e rallentare la ripresa americana.
Trump al comando: strategia muscolare, ma flessibile
Il secondo mandato di Trump ha ripreso molte delle direttrici del primo, ma con un approccio più calibrato nei dossier internazionali. La linea economica resta imperniata sulla protezione delle filiere strategiche, la revisione degli accordi multilaterali e la pressione su alleati e rivali per un riequilibrio delle condizioni di scambio. Ma a differenza del 2018, oggi l’obiettivo è evitare una guerra commerciale permanente. Il meccanismo bilaterale annunciato con la Cina serve proprio a questo: controllare l’attrito, mantenere l’opzione del confronto, ma in un perimetro istituzionale.
La strategia americana è chiara: aprire il dialogo senza allentare il controllo. Le tensioni restano sul tavolo, in particolare nei settori tech, dei semiconduttori e della proprietà intellettuale. Ma la gestione è passata dal tweet al tavolo negoziale. È una presidenza Trump 2.0 più strutturata, che cerca di evitare fughe in avanti.
La Cina risponde: interesse economico, rigidità politica
Pechino ha accolto l’intesa con favore, ma senza concessioni di sostanza. Il Partito comunista, alle prese con un’economia interna in rallentamento e con la crescente diffidenza degli investitori stranieri, punta a evitare nuove sanzioni e barriere. Ma al tempo stesso vuole dimostrare che può trattare alla pari con Washington, senza cedere sovranità. Il messaggio che arriva dalla stampa ufficiale è coerente: dialogo sì, ma nel rispetto degli “interessi strategici cinesi”.
La Cina ha bisogno di tenere aperto il canale commerciale con gli Stati Uniti, soprattutto in settori ad alto valore aggiunto. Ma vuole farlo senza scivolare in una posizione subordinata. Da qui la scelta di Ginevra e la cornice multilaterale dell’OMC: un tentativo di legittimare il ritorno alla trattativa, evitando che venga letto come un cedimento.
Europa spettatrice, mercati prudenti
L’accordo ha avuto un effetto immediato sui mercati: le borse asiatiche hanno aperto in rialzo, Wall Street ha reagito positivamente. Ma tra gli osservatori prevale la cautela. Il rischio di un ritorno a misure unilaterali non è affatto escluso, e l’esperienza del primo mandato di Trump pesa. L’Europa, nel frattempo, resta spettatrice: priva di una linea comune, osserva la riapertura del dialogo temendo un nuovo fronte di pressione sul proprio export, già colpito da frizioni commerciali trasversali.
Il primo patto Trump-Xi della nuova stagione è una tregua fragile, utile a congelare il dossier. Non segna un’inversione, ma un adattamento. Serve a entrambi per guadagnare tempo, ma non modifica gli equilibri strutturali. In un mondo in cui il commercio è diventato geopolitica, anche una stretta di mano tecnica può diventare un atto strategico.