Usa 2024: i democratici incoronano Kamala Harris chiedendole di battere Trump
- di: Diego Minuti
Chicago, per i democratici, è a suo modo una città simbolo perché ha sempre dato il polso del sentiment del partito e di come esso si rapporti con un elettorato che, se vota per convinzione o per fedeltà, ha sempre avuto un approccio critico alla politica. A differenza dei repubblicani che votano, quasi acriticamente, sempre e comunque per i loro candidati, pur riconoscendone difetti e mancanze.
A Chicago, d'altra parte, negli anni '70, in occasione di un altra convention, andò in scena una violenta contestazione. Erano gli anni in cui la contestazione alle politiche internazionali degli Stati Uniti, a cominciare dall'impegno militare in Vietnam, era fortissima e vedeva schierati, uno accanto agli altri, pur con motivazioni non sempre coincidenti, i liberal, i pacifisti, le organizzazioni religiose e i giovani, che non volevano andare a morire per un Paese di cui, fino a poco tempo prima, non conoscevano nemmeno l'esistenza.
Usa 2024: i democratici incoronano Kamala Harris chiedendole di battere Trump
I democratici che da oggi si incontreranno a Chicago non parleranno di politica internazionale, che è tema che comunque aleggerà sulla convention perché forte è negli Stati Uniti il rigetto dell'appoggio, sempre e comunque, per Israele soprattutto per il modo con cui sta conducendo la campagna contro Hamas.
Una contestazione che si annuncia anche chiassosa, perché a Chicago, principale città dell'Illinois, si sono date appuntamento le frange più attive della società americana che simpatizza per i palestinesi e solidarizza con loro per quanto stanno subendo.
Ma a Chicago si parlerà soprattutto di politica interna e dalla convention Kamala Harris si aspetta un appoggio convinto, anzi totale, pur sapendo che, in sala e nei corridoi dell'United Center, ci saranno molti di quelli che, sino a poche settimane fa, non l'accreditavano come avversaria credibile di Donald Trump e che ora devono prendere atto che la vicepresidente è in crescita nei sondaggi, addirittura sorpassando il tycoon in alcuni degli Stati in bilico.
Kamala Harris ha risaputo risalire la corrente avversa, non tanto per la messe di finanziamenti che le sono piovuti addosso sin dall'inizio della sua campagna elettorale, quanto per la strategia scelta per contrastare gli attacchi quotidiani che, contro di lei e il suo vice, Tim Walz, hanno scatenato i repubblicani e i loro fiancheggiatori.
La scelta di Harris di non rispondere con la stessa moneta alle pesanti insinuazioni di Trump su di lei (dalla origini razziali alle idee politiche, persino al passato del marito prima del matrimonio) sembra essere gradita dagli elettori, soprattutto da quella consistente porzione che gli statistici chiamato ''incerti'' e che basano il loro voto sulla percezione che hanno della persona e non di quello che dicono gli avversari.
Ma, per strano che possa apparire, i grandi numeri che, dalla metà luglio (da quando Joe Biden ha fatto il passo indietro, sollecitatogli da molti, in ordine ad una ricandidatura), Kamala Harris ha registrato non erano automaticamente un segnale di nomination. Perché all'aumento delle donazioni, le folle che hanno assistito alle sue uscite pubbliche e la crescita nei sondaggi non significavano appoggio totale da parte del partito.
Cosa che invece si è materializzata negli ultimi giorni, con i vertici del partito sempre più convinti che la sua candidatura possa essere quella giusta, almeno in questo momento storico.
Ma la candidatura non cancella certamente le perplessità che, da sempre, in ambito repubblicano, caratterizzano la carriera politica di Kamala Harris, che nell'arco della sua vicepresidenza ha vissuto - come peraltro tutti i suoi predecessori - all'ombra dell'inquilino della Casa Bianca, stentando, non per sua incapacità, a mostrare personalità e indipendenza di giudizio. Anche se chi frequenta i palazzi del potere di Washington le riconosce abilità nel tessere trame in seno ai democratici e a difendere le sue tesi anche su temi fortemente divisivi, quali i diritti all'aborto.
Quindi, un apprendistato durato tre anni e mezzo, nel corso dei quali ha rafforzato la sua immagine, a dispetto dei dubbi iniziali sulle sue capacità squisitamente politiche. Immagine, peraltro, resa ''forte'' dal riconoscimento del suo impegno del passato nel campo della Giustizia (è stata procuratore distrettuale di San Francisco e procuratore generale della California).
Un impegno che non è stato sempre lineare perché se da procuratore distrettuale si rifiutò di chiedere la condanna a morte dell'assassino di un agente di polizia (e per questo fu oggetto di forti critiche), mentre, da procuratore generale e contro la sua convinzione personale, sostenne la pena di morte in California.