Unicredit cambia rotta e decide di rinunciare alla sospensiva nel ricorso contro il golden power esercitato dal governo sull’offerta pubblica di scambio (Ops) su Banco Bpm. La banca guidata da Andrea Orcel ha scelto di accelerare il calendario giudiziario, puntando direttamente alla valutazione nel merito, che si svolgerà il prossimo 9 luglio dinanzi al Tribunale amministrativo del Lazio. È un passaggio cruciale per uno dei contenziosi più rilevanti degli ultimi mesi, che investe direttamente il rapporto tra grande finanza, autonomia delle imprese e prerogative della Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di difesa degli asset strategici.
Unicredit e golden power: rinuncia alla sospensiva, ma resta lo scontro con il governo
La rinuncia alla sospensiva segna una svolta tattica da parte dell’istituto bancario. Inizialmente, Unicredit aveva chiesto al Tar di congelare temporaneamente gli effetti del Dpcm emesso il 18 aprile scorso, con cui Palazzo Chigi ha esercitato i poteri speciali previsti dal meccanismo di golden power per opporsi, di fatto, all’acquisizione della totalità delle azioni di Banco Bpm da parte di Unicredit.
La banca ritiene che il provvedimento governativo ecceda le prerogative attribuite dalla legge e violi i principi di libera concorrenza e proporzionalità. Tuttavia, l’istituto ha rinunciato a chiedere una misura cautelare, preferendo una pronuncia rapida nel merito per chiarire la legittimità dell’intervento statale.
Le ragioni del contenzioso
Il cuore della disputa riguarda l’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit, che mira ad acquisire il controllo pieno di Banco Bpm, istituto ritenuto strategico per il sistema bancario nazionale. Secondo il governo, l’operazione coinvolge settori sensibili — tra cui credito, risparmio e infrastrutture digitali — che giustificano l’attivazione dei poteri speciali. Il Dpcm del 18 aprile impone condizioni e limiti all’operazione, introducendo vincoli sull’integrazione e sulla governance futura. Unicredit contesta proprio questi vincoli, giudicandoli eccessivi, lesivi dell’autonomia industriale e potenzialmente dannosi per la competitività sul mercato europeo.
Un precedente significativo per il settore bancario
La vicenda rappresenta un banco di prova per l’applicazione concreta del golden power nel settore bancario, un ambito finora raramente oggetto di interventi diretti. Il caso potrebbe costituire un precedente determinante per i futuri rapporti tra politica economica nazionale e operazioni di mercato nel comparto creditizio. In gioco non c’è solo l’esito dell’Ops di Unicredit, ma anche il perimetro delle competenze tra il potere esecutivo e l’autonomia degli attori finanziari. È significativo che la banca abbia preferito non alzare il livello dello scontro sul piano cautelare, ma attendere una pronuncia definitiva che possa chiarire il quadro giuridico una volta per tutte.
La tempistica e le prossime tappe
La prossima udienza è fissata per il 9 luglio, data in cui il Tar del Lazio sarà chiamato a pronunciarsi nel merito del ricorso. Entro quella scadenza, le parti — Unicredit e la Presidenza del Consiglio — dovranno depositare le rispettive memorie difensive, con le argomentazioni giuridiche e documentali che sorreggono le loro tesi. Sarà un passaggio delicato, non solo per gli effetti immediati sull’operazione Banco Bpm, ma anche per il messaggio che il governo italiano intende dare agli investitori istituzionali in un momento in cui il sistema-Paese è al centro delle attenzioni europee.
Il ruolo del contesto internazionale
Il caso Unicredit si inserisce in un quadro europeo più ampio, dove le misure di tutela nazionale degli asset strategici si moltiplicano. Il golden power, originariamente introdotto per proteggere settori come difesa e telecomunicazioni, è stato progressivamente esteso anche ai servizi bancari, energetici e digitali. L’Italia, in linea con le raccomandazioni dell’Ue, ha rafforzato negli ultimi anni questi strumenti, ma resta aperto il dibattito sul confine tra protezione dell’interesse nazionale e interferenza nel mercato. In questo senso, la decisione del 9 luglio avrà rilevanza anche oltre i confini italiani, offrendo un’indicazione sulle possibilità di equilibrio tra controllo statale e apertura alla concorrenza.
Un test per governo e mercato
La vicenda mette alla prova l’architettura istituzionale italiana nel rapporto tra potere esecutivo e libertà economica. Per il governo si tratta di difendere una visione della sovranità economica che legittima l’intervento in settori ritenuti cruciali per la stabilità del Paese. Per Unicredit, al contrario, l’obiettivo è riaffermare il primato della strategia d’impresa e la necessità di operare in un quadro regolatorio certo e non soggetto a interferenze discrezionali. A decidere sarà la giustizia amministrativa, ma le implicazioni si giocheranno anche sul piano politico e finanziario, dove ogni segnale viene letto in chiave di affidabilità e trasparenza.