Washington chiude la porta alle proroghe: “1 agosto scadenza vincolante”. Bruxelles spera ancora nell’intesa ma prepara la controffensiva. E l’ombra del “bazooka” divide i 27.
L'orologio doganale corre: Washington detta la scadenza
Il tempo delle proroghe è finito. Stavolta gli Stati Uniti non intendono concedere altro margine. “Il primo agosto è una scadenza vincolante per i dazi”, ha dichiarato il 20 luglio il segretario al Commercio americano Howard Lutnick in un’intervista alla CBS, chiarendo che non ci saranno più rinvii. È un aut-aut senza appello, che inchioda l’Unione europea a dieci giorni di trattative serrate con la minaccia concreta di nuove tariffe all’orizzonte.
Eppure Lutnick ha aggiunto un tocco di diplomazia: “Sono fiducioso che troveremo una soluzione. Credo che tutti questi Paesi capiranno che è meglio aprire i loro mercati piuttosto che pagare dazi significativi”. Una fiducia che sa di avvertimento. Non si tratta di negoziare su un piano di parità, ma di scegliere se subire o cedere.
Il limbo strategico di Bruxelles
A Bruxelles nessuno si fa illusioni. La Commissione europea continua a ribadire che l’obiettivo è “un accordo negoziato e reciprocamente vantaggioso”, ma nei fatti prevale la linea del doppio binario: dialogo acceso, ma nel frattempo preparativi per una risposta unitaria.
Si starebbe valutando una convocazione straordinaria del Coreper — il comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri — già tra martedì 22 e mercoledì 23 luglio. L’obiettivo? Mettere sul tavolo le contromisure già elaborate. I dazi da 21 miliardi di euro, già pronti a scattare dal 6 agosto, sono solo l’inizio. Bruxelles ha predisposto una seconda lista da 72 miliardi che colpirebbe settori chiave, inclusa l’automotive, cuore pulsante dell’economia tedesca.
Il ritorno dello spettro del “bazooka”
La vera novità è che l’Europa sta seriamente valutando l’uso dello strumento anti-coercizione, soprannominato informalmente “bazooka”. Si tratta di un meccanismo introdotto nel 2023 per contrastare pressioni economiche e ricatti commerciali da parte di Paesi terzi.
Finora considerato un’arma di ultima istanza, il bazooka torna ora nei radar. La sua attivazione richiederebbe il consenso dei 27, ma rischia di spaccare il fronte europeo. Francia, Spagna, Austria e Danimarca sono favorevoli a una risposta dura e immediata. L’Italia mantiene un profilo più dialogante per non compromettere i rapporti bilaterali rafforzati sotto il governo Meloni. La Germania appare incerta: tentata dall’asse con Parigi, ma preoccupata per l’impatto industriale. Polonia, Paesi baltici e l’Ungheria di Viktor Orbán restano sul fronte dei più prudenti.
Von der Leyen in missione asiatica, ma con l’orecchio a Washington
Nel frattempo, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen si prepara a partire per una missione strategica in Asia. Mercoledì 23 e giovedì 24 luglio sarà in Giappone e Cina per rafforzare i legami commerciali.
Non è una semplice coincidenza geografica. L’Ue cerca di rafforzare le alleanze con i Paesi che condividono valori simili: India, Regno Unito, Canada, Australia e Giappone. Il messaggio è chiaro: se gli Usa vogliono alzare muri, Bruxelles rafforzerà i ponti altrove. In gioco non c’è solo il commercio, ma l’equilibrio geopolitico del prossimo decennio.
Una posta altissima: auto, metalli, digitale
Un conflitto commerciale pieno tra Usa e Ue costerebbe alla sola industria automobilistica europea oltre 14 miliardi di euro l’anno. Gli effetti sarebbero devastanti anche per le catene del valore nel settore tecnologico e per l’export agroalimentare.
La Commissione europea ha già pubblicato una mappa delle categorie a rischio, con particolare attenzione ai comparti in cui l’Ue eccelle: robotica, vino, cosmetici, chimica fine. È un confronto che tocca non solo l’economia ma anche la sovranità industriale europea.
Commento: l’ora delle verità strategiche
L’approccio di Washington è chiaramente improntato alla dottrina trumpiana del “deal”: trattare come se tutto fosse negoziabile, ma farlo col coltello sul tavolo. L’Europa, dopo anni passati a rincorrere la logica dei dossier, è ora costretta a definire il proprio peso sullo scacchiere globale.
Per questo la risposta a questi dazi sarà ben più di una questione commerciale: sarà la cartina di tornasole della capacità dell’Ue di agire come soggetto geopolitico coeso. L’incertezza non è più tollerabile. La finestra temporale è strettissima. E se davvero il primo agosto dovesse segnare l’inizio di una nuova era di dazi, la domanda non sarà solo “quali misure”, ma “quale Europa vogliamo essere”.