Nel vertice informale in Florida Kiev chiede uno scudo europeo credibile prima di qualsiasi accordo: Washington media, Bruxelles diventa decisiva.
(Foto: Trump e Zelensky)
L’incontro di oggi 28 dicembre a Mar-a-Lago tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky è la fotografia di un passaggio di fase:
non si discute più soltanto se e quando fermare i combattimenti, ma chi può rendere una tregua
davvero duratura. Ed è qui che l’Europa entra in scena non come comparsa, ma come architrave.
La ragione è semplice: qualsiasi “fine provvisoria” della guerra, senza un sistema di deterrenza, rischia di diventare una pausa utile
a chi vuole riprendere l’iniziativa. Per Kiev, dunque, la parola chiave non è “pace”, ma garanzie.
E, in questa partita, l’Europa è chiamata a trasformare la solidarietà in capacità vincolante.
Perché Mar-a-Lago conta: politica estera fuori dai palazzi
La scelta del luogo non è neutrale. Mar-a-Lago è un palcoscenico che personalizza la diplomazia:
Trump si presenta come mediatore e “acceleratore”, spostando l’asse dalla burocrazia alla relazione e al messaggio pubblico.
Zelensky, dal canto suo, porta al tavolo una richiesta che non può permettersi di diluire: garanzie credibili prima di qualsiasi
congelamento del fronte.
In questa cornice, l’Europa diventa il punto di equilibrio: se gli Stati Uniti “mediano”, Bruxelles deve garantire.
La differenza è enorme: mediare significa favorire un’intesa; garantire significa assumersi un rischio.
Cosa si discute: un cessate-il-fuoco con cornice, non una pace definitiva
La trattativa ruota attorno a un impianto “a due tempi”: prima un accordo per fermare l’escalation,
poi un percorso più lungo su territori, status delle aree occupate e ricostruzione. È un modello pragmatico,
ma dipende da una sola condizione: che il primo tempo non diventi una trappola.
I nodi restano quelli che decidono la stabilità: territori (soprattutto Donbas) e Zaporizhzhia
(centrale e governance). Se questi dossier vengono chiusi senza deterrenza, l’accordo non “chiude” la guerra: la rinvia.
Il baricentro europeo: lo “scudo” che Kiev pretende
Zelensky punta a un’idea molto concreta: una garanzia che non sia solo una promessa politica, ma un insieme di
meccanismi automatici e capacità operative. In sostanza: se la Russia viola, la risposta non può essere
una discussione infinita, ma un dispositivo già scritto.
Qui l’Europa è decisiva per tre ragioni:
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Legittimità e prossimità: la sicurezza europea è direttamente minacciata dall’instabilità ucraina;
le capitali europee hanno un interesse strutturale a prevenire una nuova aggressione.
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Capacità e massa critica: sommate, le difese europee possono sostenere addestramento, interoperabilità,
logistica e una presenza di deterrenza credibile (se coordinate e finanziate in modo stabile).
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Vincolo politico: un ruolo europeo formalizzato riduce il rischio che la garanzia diventi dipendente
dalle oscillazioni della politica americana.
Interpretazione: l’Europa come “assicuratore” della tregua
La lettura più utile di ciò che sta avvenendo è questa: Trump tenta di costruire un “accordo rapido”,
Zelensky tenta di impedire che sia un accordo fragile. L’Europa è la variabile che può rendere compatibili i due obiettivi.
In pratica, Bruxelles viene spinta verso un ruolo da assicuratore: mettere sul tavolo strumenti che rendano
costosa la violazione dell’intesa. Non solo sanzioni “a posteriori”, ma una deterrenza che funzioni “a priori”.
È un cambio di statuto politico: l’Europa smette di essere soltanto finanziatore e diventa garante.
E un garante, per definizione, deve accettare che la pace non è gratis: si paga in credibilità, coesione e risorse.
Tre scenari dopo Mar-a-Lago: dove si misura davvero l’Europa
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Accordo-ponte con garanzie europee robuste: cessate-il-fuoco e architettura di sicurezza multilivello
(Europa in prima linea, supporto USA come “backstop”). È lo scenario più stabile.
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Tregua con garanzie vaghe: politicamente vendibile subito, ma esposta a incidenti, provocazioni e “gradi” di violazione.
Qui l’Europa rischia di pagare senza ottenere deterrenza.
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Impasse controllata: niente firma immediata, ma avanzamento tecnico. In questo caso, l’Europa deve decidere
se preparare comunque le condizioni di una garanzia credibile, o restare in attesa degli USA.
La pace passa da Bruxelles (e dalla sua disciplina)
Il vertice di Mar-a-Lago mette a nudo una verità: non basta fermare i colpi, bisogna prevenire i prossimi.
E, oggi, questa prevenzione non può poggiare solo su Washington.
Se l’Europa vuole essere protagonista e non spettatrice, deve fare una scelta netta: trasformare il sostegno a Kiev in
garanzia operativa. Perché il nodo non è “la pace” in astratto. Il nodo è la credibilità di chi promette che durerà.