È "Caos" la sola parola che può definire la situazione che stanno vivendo gli Stati Uniti, avviluppati dalla spasmodica attesa sul nome di chi siederà nell'ufficio ovale per il prossimi quattro anni. Un caos totale, e non solo nella delicata e cruciale fase del conteggio dei voti, ma anche nell'espressione delle posizioni dei due schieramenti, con il pericolo che qualcuno di quelli che in strada manifestano si faccia prendere la mano e usi il fucile mitragliatore che brandisce per assediare i centri in cui si contano le schede elettorali. E poco importa che l'esibizione di muscoli ed armi sia peculiare dei miliziani che hanno sostenuto Trump.
Questa deriva è preoccupante per la democrazia americana, per un oggi caotico e per un domani incerto. Di certo queste elezioni hanno un protagonista assoluto, e non solo per essere l'attuale inquilino della Casa Bianca.
Donald Trump ha stravolto tutti i canoni della comunicazione politica, cadendo nella volgarità, ma andando avanti per la sua strada, che è quella di attirare su di sé i consensi non solo dei repubblicani, non solo dei conservatori, ma anche di chi si affida a lui per alimentare la speranza di una nazione che abbia un colore dominante - il bianco -.
Ma Trump ha anche scavalcato la barricata che sino ad oggi aveva difeso la comunicazione politica come prolungamento dell'ideologia, scatenandosi con toni ed argomenti che mai avevano avuto ospitalità nel cuore della presidenza americana.
Al punto tale che mai, sino ad oggi, si era sentita una frase come quella pronunciata, con evidente fastidio e forse anche imbarazzo, da Brian Williams, della televisione Msnbc, prima di interrompere la diretta dalla Casa Bianca:
"Ed eccoci di nuovo qui, nell'insolita posizione di dover non solo tagliare (dal collegamento tv, ndr) il presidente degli Stati Uniti, ma anche correggerlo".
Si potrebbe dire che la scomposta comunicazione di Trump, che nei quattro anni di presidenza ha usato i social in modo compulsivo ed a tratti irrazionale, gli si è ritorta contro nel momento in cui i giornalisti - soprattutto quelli televisivi - sono tornati a governare direttamente il loro lavoro, avvalendosi della possibilità di stoppare le intemerate scagliate da ''the Donald'' contro i democratici, accusati di ogni porcheria possibile, senza peraltro fornire alcuna prova sulla fondatezza delle sue affermazioni.
Cosa che ha quindi spinto i giornalisti a bocciare le dichiarazioni apodittiche di Trump, accusandolo di mentire senza alcun pudore e di fare disinformazione. D'altra parte, dopo una brevissima luna di miele con la stampa all'indomani del suo insediamento, Trump ha considerato i giornalisti come nemici da combattere solo perché non lo spalleggiavano nelle sue iniziative. Se questo era in un certo senso da potere mettere in conto nei confronti della stampa cosiddetta liberal, la situazione si è riproposta anche contro media amici (come Fox) che il presidente ha attaccato nel momento in cui essi avevano fatto notare, e limitandosi solo a questo, qualche incongruenza nelle sue affermazioni.
Nelle ultime ore, poi, con l'aumentare del nervosismo per l'andamento dello spoglio,
Trump ha cominciato ad andare a ruota libera, alzando il livello degli attacchi, quasi costringendo i media a reagire.
"Il presidente Trump, senza alcuna prova, ha affermato che le elezioni presidenziali sono state corrotte e fraudolente. Abbiamo interrotto la trasmissione in diretta delle sue parole e rimosso il video dalle nostre piattaforme" ha spiegato su Twitter Nicole Carroll, direttrice del quotidiano USA Today per giustificarsi, anche se non ce n'era bisogno. L'incontinenza verbale e no di Trump contro chi ritiene suo avversario ha di fatto imposto ai media statunitensi di derogare ad una delle regole auree della professione giornalistica americana non dichiaratamente di parte: l'obbligo di imparzialità.
Così NBC News e ABC News hanno interrotto la diretta della conferenza stampa caratterizzata dall'abbandono della sala da parte di Trump, determinato a non rispondere ad alcuna domanda dei giornalisti. La CNN ha invece deciso di proseguire la diretta, ma il suo giornalista, Jake Tapper, ha espresso una condanna del comportamento usato da Trump:
"Che notte triste per gli Stati Uniti d'America vedere il loro presidente (...) accusare falsamente le persone di aver tentato di rubare le elezioni, gettando una rete di bugie" . Il fact checker ufficiale del canale ha definito l'ultimo discorso di Trump
"il più disonesto del suo mandato presidenziale".
Ma sarebbe errato considerare la strategia di Trump limitata solo alle sue esternazioni (ed a quelle, certo non disinteressate, dei suoi figli che hanno incitato i repubblicani ad affiancare l'azione del presidente contro l'esito degli scrutini), perché in rete si sono scatenate, proprio in queste ore, vere e proprie campagne di disinformazione, censurate dagli stessi gestori dei social, che si sono trovati davanti ad una scelta obbligata visto il contenuto palesemente falso di alcune comunicazioni.
Ieri, ad esempio, Facebook ha chiuso una pagina con circa 350.000 membri con lo slogan StopTheSteal, che accusava i democratici di aver ''rubato le elezioni'', frase ripetuta ossessivamente da Trump nelle sue recenti dichiarazioni.
Facebook è stato chiamato in causa dai sostenitori di Biden quando è stato attivato l'inquietante hashtag "civilwar" (guerra civile).
Per comprendere quanto sta accadendo nella civilissima America, paladina della libertà di espressione e di stampa, basta sapere che JohnTalks, uno dei canali YouTube sospettati di infrangere le regole, ha pubblicato giovedì due video che avevano per oggetto presunte frodi elettorali nel Michigan, Stato vinto da Joe Biden.
I video, che sono stati visti 90 mila volte, affermavano che carri, valigie e refrigeratori venivano usati per passare le schede manipolate a un centro di conteggio con l'intento di favorire Biden. Tre organi di stampa hanno indagato sulle accuse e hanno stabilito che erano cibo per funzionari elettorali e attrezzature fotografiche per una stazione televisiva locale.