L’opinione / Donald Trump, l’apprendista che diventa re

- di: Bruno Chiavazzo (giornalista e scrittore)
 
Ho seguito la cerimonia d’incoronazione (perché questa è stata), del 47° Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e in serata ho visto “The Apprentice” (l’apprendista) il biopic sulle origini dello stesso Trump, in programmazione su Sky. Il film basato sulla sceneggiatura del giornalista Gabriel Sherman e diretto da Ali Abbasi, ci riporta agli anni ’70, quando il giovane Trump andava a riscuotere gli affitti nelle case popolari costruite dal padre, all’incontro con il discusso avvocato Roy Cohn, un personaggio che si era affermato in quegli anni ruggenti come “risolutore” di problemi di celebrità e membri della mafia, sfuggendo alla giustizia per decenni pur essendo stato accusato di spergiuro, manipolazione di testimoni e altri crimini. 
Il film dipinge Roy Cohn come un avvocato spietato, disposto a tutto pur di vincere, un ritratto che rispecchia fedelmente la realtà. Conosce Trump e lo prende sotto la sua ala protettrice, lo consiglia, lo aiuta a vincere nei tribunali, giocando sporco, ricattando, usando registrazioni compromettenti per corrompere funzionari dell’amministrazione della città di New York fino alla costruzione della Trump Tower sulla Fifth Avenue, realizzata grazie ad un imponente sgravio fiscale concesso dall’allora sindaco della metropoli. Plasma il giovane Donald a sua immagine e somiglianza, ma senza mettere in conto che, nel giro di pochi anni, l’allievo supera il maestro in quanto a spietatezza, assoluta mancanza di moralità negli affari e nei rapporti con gli altri. 
Le tre regole di Roy Cohn: attaccare sempre, nessuna pietà e negare sempre sono fatte proprie da Donald, tanto che quando il suo stesso mentore si ammala di Aids (era omosessuale) si fa negare al telefono e fa disinfestare i suoi uffici dopo una visita di Cohn. 
Vedendo il film e prima la cerimonia d’insediamento, sembrava un “dejà vu”, il Trump che giurava sulla Costituzione era lo stesso uomo senza scrupoli che azzannava il mondo e che voleva essere sempre e solo il numero uno. 
Le tre regole di Cohn le ha sostanzialmente ripetute nel suo discorso inaugurale, con la sola aggiunta che questa volta è in missione per conto di Dio che lo ha salvato dalla pallottola, per far tornare l’America grande e rispettata. La democrazia, l’equilibrio dei poteri, il sogno americano, hanno per Trump lo stesso valore dei gemelli patacca con falsi brillanti, impacchettati in una scatola Tiffany che regala a Roy Cohn il giorno prima della sua morte. La foto ufficiale, che viene esposta in tutti gli uffici pubblici americani, manda un messaggio chiaro: statevi accorti, anzi stiamoci accorti.

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