Thyssenkrupp, diciotto anni dopo: il monito tradito che ancora pesa sul Paese
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Diciotto anni sono trascorsi da quella notte tra il 5 e il 6 dicembre in cui lo stabilimento Thyssenkrupp di Torino divenne il teatro di una delle più gravi tragedie industriali italiane. Sette operai persero la vita in pochi istanti, bruciati da un’esplosione che non fu solo un incidente, ma il simbolo feroce di un sistema che da troppo tempo rinvia l’urgenza della sicurezza sul lavoro. Un caso che scosse opinione pubblica, politica e magistratura, imponendo a tutti la domanda che ancora oggi rimbomba: quanto vale una vita nel mondo della produzione?
Thyssenkrupp, diciotto anni dopo: il monito tradito che ancora pesa sul Paese
A ricordarlo è Antonio Di Bella, presidente nazionale Anmil, che parla della Thyssenkrupp come di un “drammatico simbolo di un’occasione persa”. Quei morti avevano rivelato, con la forza crudele dei fatti, che investire in sicurezza non significa subire costi, ma assumersi un dovere. Un dovere che avrebbe potuto cambiare il volto della prevenzione in Italia. Invece, quel monito è rimasto in sospeso: a fronte di miglioramenti normativi, la cultura della sicurezza non ha conosciuto lo stesso passo. Oggi si continua a morire in fabbrica, nei cantieri, nei campi. Tre vite al giorno si spezzano mentre il Paese osserva, spesso distratto, spesso impotente.
Un anno di stragi che riapre ferite antiche
Il dato è crudele: il 2024 è stato ricordato dagli esperti come l’anno delle “stragi sul lavoro”, una sequenza di incidenti mortali plurimi che ha azzerato ogni illusione di progresso definitivo. La tragedia della Thyssenkrupp avrebbe potuto segnare una svolta culturale, ma la realtà attuale mostra che l’Italia fatica a trasformare l’indignazione in politiche sistemiche e azioni durature. È questo lo scarto che Di Bella denuncia con forza: la memoria è rimasta, ma non ha generato l’azione attesa.
L’indagine lampo che fece scuola
Il ricordo va anche alla straordinaria indagine preliminare condotta nel 2007 dal pool guidato dall’allora procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. Due mesi e 19 giorni per ricostruire i fatti, per individuare responsabilità, per portare alla luce ciò che non poteva essere taciuto. Un lavoro considerato un’eccellenza nella storia giudiziaria italiana in materia di sicurezza sul lavoro. Di Bella lo evoca come esempio di ciò che dovrebbe essere la normalità: competenze concentrate, tempi rapidi, cultura investigativa specializzata.
Una richiesta che diventa appello civile
Per questo l’Anmil continua a chiedere con insistenza la creazione di una Procura nazionale del lavoro. Una struttura capace di garantire continuità, competenze e tempi certi, evitando che tragedie così gravi restino schiacciate dalle lentezze processuali. È un appello che pesa ancora di più se si pensa che il principale imputato della vicenda Thyssenkrupp ha varcato la soglia del carcere quasi sedici anni dopo i fatti. Un ritardo che, da solo, basta a comprendere la fragilità del sistema.
La memoria come impegno, non come rituale
La commemorazione dei sette operai della Thyssenkrupp non può diventare un appuntamento rituale. È un dovere che riguarda istituzioni, imprese, sindacati, ma anche la società civile. Perché ogni tragedia sul lavoro, anche quando non scuote più le prime pagine, resta una sconfitta collettiva. Di Bella lo dice con chiarezza: «Per la dignità di chi ha perso la vita e di chi sopravvive alla ferita, quel sacrificio deve generare un cambiamento reale».
E forse è proprio qui che si misura la maturità di un Paese: nella capacità di trasformare le tragedie in ripartenze, e la memoria in responsabilità quotidiana.