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Tesla, 30 milioni di azioni vendute: il segnale che il mercato manda

- di: Matteo Borrelli
 
Tesla, 30 milioni di azioni vendute: il segnale che il mercato manda
Tesla verso 500 dollari, ma i big vendono: cosa significa davvero
Il titolo corre verso quota 500 dollari al Nasdaq, ma i grandi investitori alleggeriscono. Non è una fuga: è un cambio di passo sul rischio.

Tesla si avvicina alla soglia psicologica dei 500 dollari e il mercato, come spesso accade con i titoli-simbolo, sembra voler trasformare un numero in una profezia. Eppure, mentre il prezzo si arrampica, in controluce si muovono mani pesanti: alcuni grandi investitori riducono l’esposizione e dal fronte degli insider arrivano vendite che, sommate, raccontano una storia meno lineare dell’entusiasmo da grafico.

La tentazione è leggere tutto come un campanello d’allarme. Ma la realtà, di solito, è più interessante: non è “panico”, è rotazione. E la rotazione, soprattutto a fine anno e dopo forti rialzi, può essere il modo con cui il capitale “riscrive” il proprio rapporto con rischio, valutazioni e narrativa.

Il paradosso apparente: prezzo su, vendite dei big

Negli ultimi giorni di dicembre 2025 Tesla ha sfiorato in intraday i 500 dollari e ha chiuso poco sotto quell’area, con il mercato che continua a prezzare soprattutto la parte “futura” del gruppo: robotaxi, software, intelligenza artificiale e perfino l’ipotesi di nuovi business adiacenti.

In parallelo, però, emergono tre segnali concreti:

  • Ark Invest (Cathie Wood) ha venduto un lotto di circa 60.715 azioni, per un controvalore intorno ai 29,7 milioni di dollari, pur mantenendo Tesla come posizione chiave.
  • Sul fronte insider, il consigliere Kimbal Musk ha ceduto 56.820 azioni per circa 25,6 milioni di dollari.
  • Anche il CFO Vaibhav Taneja ha effettuato una vendita di dimensione molto più contenuta (circa 1,2 milioni di dollari).

Traduzione: il mercato compra la storia, ma chi la conosce bene (o chi la detiene da tempo in portafoglio) riduce, aggiusta, riequilibra. Il totale, in quell’ordine di grandezza, vale “quasi 30 milioni” solo su una singola gamba (Ark) e supera quel livello se si guarda al pacchetto delle vendite insider.

Perché vendere mentre tutti guardano i 500

1) Gestione del rischio, non sfiducia

Quando un titolo corre, il rischio più sottovalutato è la concentrazione. Molti fondi hanno vincoli (formali o di buon senso) su quanto una singola posizione possa pesare. Se Tesla sale più del resto, diventa “troppo grande” in portafoglio: vendere non è un giudizio morale, è un controllo dei pesi.

2) Valutazioni: il prezzo dell’ottimismo

Nella narrativa del mercato di fine 2025, Tesla è sempre meno “solo auto”. Ma il titolo incorpora aspettative ambiziose: alcuni commentatori finanziari riportano multipli molto elevati rispetto agli utili attesi (con stime che girano nell’ordine di grandezza di oltre 200 volte gli utili futuri su alcune metriche di consenso). Quando i multipli si stirano, anche una piccola delusione può pesare più del previsto.

3) Fine anno: prese di profitto e fiscalità

Dicembre è il mese in cui il mercato fa ordine: tax planning, cristallizzazione dei rendimenti, ribilanciamenti di fine esercizio. È il periodo in cui si può vendere senza necessariamente “rompere” la tesi d’investimento.

Il motore del rally: autonomia e robotaxi (più che consegne)

Uno dei tratti distintivi del 2025 è che l’attenzione di parte del mercato si è spostata: le consegne auto contano, ma non dominano più la conversazione come facevano qualche anno fa. Le stime circolate in queste settimane parlano di volumi 2025 sotto l’area 1,7 milioni di veicoli, dato che non racconta un crollo, ma nemmeno una crescita travolgente rispetto alle aspettative storiche su Tesla.

Il punto è un altro: l’equity story sta diventando una scommessa su software, guida assistita, robotaxi e “AI su ruote”. In questo contesto, perfino episodi esterni possono diventare benzina narrativa: ad esempio, un blackout a San Francisco che ha creato disagi ai servizi concorrenti di robotaxi è stato letto da alcuni osservatori come un test “dal vivo” delle diverse filosofie tecnologiche.

Elon Musk, da parte sua, ha rivendicato la continuità operativa dei servizi Tesla in quel contesto, alimentando la percezione che la soluzione basata su visione artificiale sia più resiliente in alcuni scenari. È una dinamica importante perché, nel breve, il mercato non paga solo i risultati: paga la credibilità della traiettoria.

Il segnale vero: non “scaricano Tesla”, cambiano la postura

Mettiamo insieme i pezzi: se un investitore come Ark alleggerisce mentre il titolo corre, e se arrivano vendite insider di peso mediatico, il messaggio non è necessariamente “fine della corsa”. È più sottile: l’azione non è più intoccabile.

Per anni Tesla è stata trattata come un’eccezione: un’azienda per cui ogni metrica tradizionale poteva essere rimandata al futuro. Oggi quel futuro è più vicino, e proprio per questo le domande diventano più precise: quanto vale davvero l’autonomia, con quali tempi, con quali vincoli regolatori, con quali margini?

In altre parole: il mercato resta ottimista, ma pretende più prove e, nel frattempo, una parte dei grandi investitori preferisce incassare una quota del guadagno e continuare a stare a bordo con un’esposizione più “pulita”.

Cosa guardare ora: tre indicatori pratici

  • Flussi e ribilanciamenti dei grandi fondi: non solo “chi compra”, ma quanto pesa Tesla nei portafogli e se le vendite sono tecniche.
  • Notizie su robotaxi e autonomia: annunci, test, permessi locali, espansione geografica e, soprattutto, riscontri operativi.
  • Qualità degli utili e dei margini: se la narrativa è software/AI, il mercato vorrà segnali coerenti su profittabilità e monetizzazione.

I 500 dollari sono un numero che fa scena. Ma il punto, adesso, è un altro: Tesla è in una fase in cui la Borsa vuole continuare a crederci, mentre i “big” vogliono crederci senza farsi male. E questa differenza, spesso, è la vera notizia. 

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