OpenAI-Oracle, la scommessa da 300 miliardi sul cloud AI
Un accordo epocale, consumi energetici vertiginosi, rischi e ambizioni: cosa significa per l’industria AI il maxi-contratto che ridefinisce il futuro.
(Foto: Sam Altman, Ceo di OpenAi).
OpenAI ha firmato con Oracle un patto che pare destinato a riscrivere le regole del cloud e dell’intelligenza artificiale: un contratto da 300 miliardi di dollari su circa cinque anni, per una potenza computazionale che richiederà 4,5 gigawatt di capacità energetica — un consumo paragonabile a quello di circa 4 milioni di abitazioni. È il cuore di una strategia che punta a scalare l’IA a livelli mai visti, con la costruzione di nuovi data center e un impegno finanziario senza precedenti.
I dettagli più salienti
L’accordo prevede l’avvio operativo nel 2027 e si inserisce in un percorso più ampio di espansione infrastrutturale. OpenAI, nel frattempo, sta cercando di diversificare le fonti di calcolo oltre la partnership storica con Microsoft, mentre Oracle consolida il proprio ruolo nel cloud come fornitore di capacità per l’IA su larga scala.
Il piano coinvolge la costruzione di data center in diversi Stati americani e partenariati con operatori specializzati. L’obiettivo è mettere a disposizione del mercato risorse computazionali e approvvigionamenti energetici adeguati a sostenere la crescita dei modelli generativi e delle applicazioni aziendali basate su IA.
I rischi della scommessa
Primo: la sostenibilità finanziaria. I ricavi attuali di OpenAI sono stimati nell’ordine delle decine di miliardi ma l’impegno pluriennale, se eseguito nella sua interezza, impone esborsi annui potenzialmente superiori, in un contesto di forte concorrenza e cicli tecnologici rapidi. Il rischio è un mismatch tra crescita della domanda e curva dei costi.
Secondo: la concentrazione su un partner dominante. Una dipendenza elevata aumenta l’esposizione a ritardi, strozzature hardware, volatilità dei prezzi dell’energia e cambi di rotta regolatori o geopolitici.
Terzo: l’impatto energetico. Una capacità di 4,5 GW significa contratti di fornitura, reti e mix di generazione degni di un’industria pesante. La sostenibilità — economica e ambientale — diventa parte integrante del progetto.
Quarto: la pressione tecnologica. Con i big del digitale che corrono su chip proprietari, ottimizzazione dei modelli e nuove architetture, l’efficienza per unità di calcolo sarà decisiva per non trasformare la scala in un boomerang sui costi.
Le potenzialità: perché può funzionare
La domanda di IA continua ad accelerare: dalle piattaforme consumer ai processi aziendali, l’automazione intelligente si espande e richiede calcolo massivo. Per Oracle, questa intesa rafforza la posizione nel cloud e la credibilità come fornitore infrastrutturale di primo livello. Per OpenAI, diversificare oltre Microsoft riduce la dipendenza e migliora il controllo su costi e scalabilità. Se l’infrastruttura promessa verrà effettivamente realizzata, gli Stati Uniti potrebbero consolidare un vantaggio competitivo nell’IA a livello globale.
Quando, dove, come: cronologia probabile
2025. Fase preparatoria: annunci tecnici, definizione dei partner, pianificazione energetica e approvvigionamento di componenti chiave. Cresce la spesa e si impostano gli accordi abilitanti.
2026. Cantieri e connessioni: costruzione dei data center, negoziazione dei contratti di energia, prime linee produttive dedicate ai chip per l’IA e test di integrazione.
2027. Entrata in funzione: l’accordo avvia la fornitura su larga scala con Oracle, con progressiva scalatura delle capacità e del perimetro dei servizi.
2028-2029. Verifica a regime: si misura l’utilizzo reale rispetto ai volumi previsti, la redditività e l’eventuale rinegoziazione dei parametri in base all’andamento del mercato e ai costi energetici.
Commenti e reazioni
I mercati hanno già scontato la portata strategica dell’intesa, premiando il profilo di crescita sul cloud a supporto dell’IA. Non manca lo scetticismo: alcuni analisti leggono la cifra come “valore potenziale su più anni” soggetto a milestone e clausole di performance, più che come impegno cash fisso e immediato. La posta in gioco resta enorme: se domanda e produttività dell’IA cresceranno come previsto, la scala potrà trasformarsi in vantaggio competitivo; in caso contrario, peseranno leva finanziaria, costi energetici e obsolescenza tecnologica.
Molto più di un contratto
Questo accordo da 300 miliardi è più di un contratto: è una dichiarazione di intenti sull’idea che l’IA guiderà i prossimi decenni. Ma la grande scala non perdona: serviranno esecuzione impeccabile, gestione del rischio e una curva d’innovazione capace di tenere il passo con la domanda. Se la scommessa riuscirà, guarderemo a questo passaggio come al momento in cui l’IA ha fatto un salto di scala epocale; se fallirà, resterà come monito sui limiti dell’euforia digitale.