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Sinner, una sconfitta che serve per diventare invincibili

- di: Vittorio Massi
 
Sinner, una sconfitta che serve per diventare invincibili
Dopo Parigi nulla sarà più come prima: perdere così significa essere già oltre.
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La solitudine del numero uno
Quando si perde come ha perso Jannik Sinner nella finale del Roland Garros 2025, non si è mai davvero sconfitti. Non si crolla. Si cresce. È questa la sensazione che resta, a ventiquattr’ore da una delle partite più straordinarie – e più dolorose – della carriera del tennista italiano. Un match che aveva già vinto due volte, per gioco e per punteggio, ma che il destino, quella categoria sottile tra talento e maledizione, ha deciso di ribaltare.
Tre match point. Un set e un break di vantaggio. Il servizio per chiudere. Poi il buio, il vento contrario, la rimonta di Alcaraz. Ma nel volto pallido e composto con cui Sinner ha salutato il Philippe Chatrier domenica sera, c’era qualcosa che andava oltre la sconfitta: una forma nuova di consapevolezza.
“Mi fa male, ma sono orgoglioso”, ha detto. E nessuna frase fotografa meglio lo stato di chi, pur perdendo, ha capito che quella non era la fine – era l’inizio.
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Il peso del talento, la leggerezza della forza
Essere il numero uno al mondo a 22 anni è già un’eccezione. Perdere così, alla prima finale a Parigi, e uscirne migliorato, è una rarità assoluta. Sinner lo ha fatto. Con grazia, senza alibi. In lui non c’è mai stata l’ombra della polemica, mai la scorciatoia del rimpianto. Solo lucidità e accettazione.
In conferenza stampa ha detto: “So che tornerò. Questo è solo un passaggio”. E in effetti non è difficile credergli. Perché il punto non è il trofeo mancato, ma la qualità della battaglia. Sinner non ha ceduto al panico, ha solo incontrato un avversario che – stavolta – ha avuto un grammo in più di coraggio nei momenti decisivi. Ma il resto, il corpo a corpo tecnico, mentale e fisico, è stato pari. Epico. Inscindibile.
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Alcaraz è il presente, Sinner è la coscienza del futuro
Carlos Alcaraz è già leggenda: tre Slam, 22 anni, una tenuta nervosa da Nadal e la leggerezza di un ragazzo in vacanza. La sua rimonta resterà negli annali. Ma se lui ha vinto il Roland Garros, Sinner ha vinto qualcosa di più difficile da spiegare: il rispetto definitivo del mondo del tennis.
Perché perdere così, da favorito, con tutto da perdere e poco da guadagnare, e uscire tra gli applausi di un pubblico che – per metà – tifava l’altro, è roba da leader. Non da campione. Da icona.
Le prime pagine dei giornali lo confermano: anche la stampa francese e inglese ha celebrato Sinner come parte attiva del miracolo sportivo. L’Equipe ha titolato “5h29 di leggenda”, il Guardian ha scritto che “questa rimonta sarà ricordata per secoli”, ma nessuno ha messo in discussione il valore immenso dell’azzurro.
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Il tempo lavora con lui
C'è una frase che circola spesso tra gli sportivi veri, quelli che sono passati per il dolore prima della gloria: “La sconfitta è una forma di allenamento”. Se è vero, allora quella del 9 giugno 2025 è stata la lezione più importante della carriera di Jannik Sinner.
Perché non si diventa giganti con le vittorie facili. Si diventa giganti quando si regge il colpo più duro e si resta in piedi. Quando il tuo gioco non crolla, anche se il cuore vorrebbe farlo. Quando ti rimetti a servire dopo aver perso tre match point senza tremare.
Lui lo ha fatto. Ed è questo il vero segnale: la resilienza tecnica. La capacità di mantenere il piano partita anche quando il sogno svanisce. Sinner ha giocato un tennis geometrico, pulito, senza sbavature fino all’ultima palla. Non si è disunito. Ha perso perché Alcaraz ha fatto qualcosa di irreale. Ma non ha ceduto. Né mentalmente, né fisicamente.
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Il privilegio di vederli
A volte dimentichiamo che stiamo assistendo a qualcosa di irripetibile. Questa rivalità tra Sinner e Alcaraz è già superiore a molte delle più famose del passato. Perché hanno ventidue anni. Perché non si odiano, si rispettano. Perché sono ancora in divenire.
E perché ogni volta che si affrontano – e questa era la dodicesima – ci regalano un frammento di bellezza che sembra uscire da un’altra epoca del tennis. La loro è una guerra fatta di arte e fiato, una danza brutale e armoniosa. E il bello, l’incredibile, è che siamo solo all’inizio.
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Il titolo arriverà 
Jannik Sinner ha perso. Ma in realtà ha fatto di più: ha messo una bandiera sull’Olimpo. Non è ancora salito in vetta a Parigi, ma ha lasciato il suo nome inciso sul marmo. Ha dimostrato a sé stesso, e al mondo, di saper soffrire. Il titolo arriverà. Forse a Wimbledon, forse agli US Open. Ma quando accadrà, sapremo tutti che è cominciato qui. Da una sconfitta. Epica. E necessaria.

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