Si litiga su tutto, il Covid-19 irrompe sul palcoscenico della Giustizia

- di: Diego Minuti
 
Il Covid-19, nella drammaticità dei suoi effetti, sta anche dimostrando, semmai avessimo bisogno di una conferma, che gli italiani, quando occorre, sanno sempre trovare un argomento su cui accapigliarsi anche in campi che, con la sanità, nulla hanno a che fare. Come la Giustizia, quella con la ''g'' maiuscola, intendendo l'esercizio del diritto di uno Stato a tutelarsi contro coloro che ne violano le leggi o agiscono danneggiando qualcuno. In questi giorni le vicende legate alla scarcerazione di alcuni detenuti condannati per fatti gravissimi (legati soprattutto alla criminalità organizzata di profilo mafioso, camorristico o 'ndranghetista), giustificata dal timore che possano contrarre il Coronavirus in carcere a causa delle loro certificate patologie, stanno tenendo banco, spaccando la platea immensa dei commentatori, a cominciare da quelli che non perdono occasione per dire la loro. Ed ovviamente, in questa categoria, bisogna mettere anche i giornalisti, o presunti tali. E poco sposta il fatto che, sull'onda delle polemiche, il guardasigilli Bonafede, con il decreto approvato il 29 aprile dal Consiglio dei ministri, ha stabilito che eventuali scarcerazioni, decise dal giudice di sorveglianza, devono essere sottoposte al giudizio della procura nel cui ambito è stata emessa la sentenza di condanna. Ma il nodo da sciogliere non è quello relativo alla libertà di esprimere il proprio giudizio sullo stato della Giustizia in Italia, quanto sul fatto che su di essa si sta scatenando un'ordalia tra i giustizialisti (definizione di comodo) ed i garantisti (anch'essa definizione di comodo). Ovvero tra coloro che non ci stanno a che le maglie della detenzione si allarghino in modo innaturale e quelli che, invece, ritengono che la condizione dei reclusi - di tutti - in Italia non siano degne di quello che un tempo definivamo semplicemente ''Stato civile''. Due posizioni, al momento, antitetiche e che, apparentemente, non hanno alcuna possibilità di trovare una sintesi. Ma bisogna pure dirci che la Giustizia (come la guerra per i generali) è cosa di cui non dovrebbero discutere i giudici, ma solo il legislatore, che ha il compito di tradurre l'esigenza dello Stato di difendersi da chi lo attacca con i suoi comportamenti e l'equilibrio che deve sovrintendere ad una decisione destinata ad avere effetti per tutto un popolo, non solo per chi delinque. Per dirla in breve, se i criminali - occasionali o seriali o quelli che ancora non sono stati beccati - sono una minoranza, le leggi devono valere per tutti, quindi anche per coloro che mai in vita loro le hanno violate o le violeranno. Ed è anche necessario ricordare che in carcere ci sono detenuti con sentenza passata in giudicato, ma anche persone che non hanno affrontato tutti i gradi di giudizio loro concessi.
Ma se uno Stato deve difendere la sua parte sana da quella marcia, allo stesso modo deve garantire condizioni di vita che non si sostanzino nella cancellazione dei diritti di ciascuno a potersi dire ancora cittadino di questo Paese.
Quindi, se da un lato si reclama che si migliorino le condizioni per i detenuti, dall'altro si ricorda l'esigenza che lo Stato eserciti le sue prerogative senza accanirsi contro chi ha sbagliato e sta pagando. Dai tempi del dispiegarsi dei primi effetti della legislazione premiale (sconti di pena e permessi, ad esempio) ha fatto più rumore, su cento reclusi destinatari di un beneficio, un detenuto libero per poche ore o giorni che torna sulla cattiva strada piuttosto che i restanti novantanove che nulla hanno fatto. Ma questo l'opinione pubblica stenta a metabolizzarlo perché, se dimentica che l'art.27 della Costituzione sottolinea la funzione rieducativa del carcere per i detenuti, ha invece ben chiaro che spesso la condanna non trova poi rispondenza nella pena scontata e questa viene considerata una ingiustizia soprattutto nei confronti delle vittime. Di questo e di altro si sta parlando su alcuni organi di stampa, due dei quali, in particolare, si sfidano quotidianamente su questo argomento, spesso travalicando il buon gusto e, quindi, limitandosi ad insultarsi. Con eleganza, ma insulti restano. Anche il Covid-19, con il corollario di morti che si porta dietro, viene utilizzato come grimaldello per acuire lo scontro sulle carceri, su quello che sono diventate (a quando un piano efficace di edilizia penitenziaria, che garantisca ai detenuti di non ammassarsi in celle incapaci di ospitarli?) e su come esse siano diventate le classiche stoppie pronte a prendere fuoco alla prossima scintilla. I morti e le evasioni all'inizio dell'epidemia sembra siano stati dimenticati, per privilegiare, nel dibattito, le sottili disquisizioni giurisprudenziali tra chi reclama la certezza della pena e chi, invece, riconosce alla legge Gozzini ed alle successive disposizioni il merito di avere restituito alla società civile tanti che prima erano solo delinquenti.
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