Paula, sfuggita alla sedia elettrica, non a sé stessa

- di: Diego Minuti
 
Paula Cooper, quando entrò nel suo inferno, aveva quindici anni. L'età in cui una ragazza dovrebbe pensare solo a crescere, alla fase di passaggio che sta attraversando prima di diventare donna.
Paula, nera, abitava nell'Indiana e, chissà per quale abbaglio, pensò ai soldi facili che si possono fare, negli Stati Uniti rurali, come nel resto del mondo, solo prendendo scorciatoie, quasi tutte saltando il confine della legge, quello tra Bene e Male.

Paula, sfuggita alla sedia elettrica, non a sé stessa

In una calda giornata di maggio del 1985, con tre amiche, quasi coetanee, entrò nella casa di una anziana, Ruth Pelke, che divideva la sua esistenza tra le faccende di casa e la parrocchia.
Una donna di 78 anni che mai aveva fatto del male a qualcuno, sempre pronta alla routine di una cittadina, tra sorrisi e piccoli atti di solidarietà per chi ha meno. Paula e le sue compagne la seviziarono, per ore, per convincerla a rivelare dove avesse nascosto oro e denari, che esistevano però solo nelle loro teste.

Alla fine sul corpo martoriato di Ruth Pelke furono contate da 33 coltellate. Troppe per pensare che abbia resistito tanto. Un massacro che fu incredibile pensare essere stato compiuto da ragazzine che, alla fine, uscirono da quella avendo racimolato dieci dollari, nemmeno sufficienti forse per un gelato.
Lei, Paula, fu la sola ad essere condannata alla pena capitale, diventando un ammonimento, ma anche un simbolo delle distorsioni di un sistema giudiziario che, negli Stati Uniti, spesso non fa distinzione tra ragazzi, quasi bambini, e donne e uomini in età da discernere cosa sia giusto e cosa no.

Alla fine, dopo una campagna a livello globale (che portò all'abolizione negli Stati Uniti della pena di morte per i minorenni con meno di sedici anni), in cui l'Italia fu in prima fila, la condanna morte per Paula Cooper fu commutata in ergastolo, che alla fine si risolse in 26 anni di detenzione.
Quando, nel 2013, si lasciò alle spalle le porte del carcere, Paula aveva 42 anni. Due anni dopo fu trovata morta, in una casa di Indianapolis, per una ferita d'arma. Aveva accanto una pistola, che portò gli investigatori a pensare a un atto volontario. Ma nessuno di loro inizialmente riconobbe in quella donna che mostrava molto più dei suoi 42 anni la ragazzina ritratta nella foto segnaletica della polizia. La ragazzina che, quasi trent'anni prima aveva visto mezzo mondo scendere in capo, per evitarle la sedia elettrica. Compreso Giovanni Paolo II.

La storia di Paula Cooper, ma soprattutto delle circostanze che hanno dato il profilo della sua vicenda personale, è stata raccontata dalla giornalista americana Alex Mar in ''Settanta volte sette. Quanto siamo disposti a perdonare?'' (Il Pellegrino - pag.496 - 19 euro).
Titolo che riprende il Vangelo di Matteo e che l'autrice spiega con il fatto che si è chiesta quali siano state le motivazioni che hanno spinto il nipote di Ruth Pelke, Bill, a concedere il perdono a chi aveva ucciso, massacrato, senza un motivo, senza pensare che quella donna mite non aveva colpe e soprattutto a cui non era stata data possibilità di scampare ad una fine terribile.
Bill Pelke non si era limitato a perdonare, a cancellare dolore e rabbia, avviando una fitta corrispondenza con Paula Cooper, quando la giovane diventata donna era ancora in una cella.

Un libro scritto attingendo alla voce di testimoni e anche protagonisti, loro malgrado, in cui Alex Mar ha scandagliato non ''solo'' la morta ingiusta di una donna buona e innocente, ma anche l'ambiente in cui quell'omicidio maturò.
Alla fine, Paula Cooper torno libera. Dalle sbarre, non dal rimorso.
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