Per uno studente su tre l’Intelligenza Artificiale potrebbe mettere a repentaglio le proprie ambizioni, mentre la manodopera straniera non viene percepita come una reale minaccia: solo uno su dieci teme che possa peggiorare le prospettive occupazionali del nostro Paese, anzi: per quasi uno studente su due si tratta di “una necessità”. È quanto emerge dalla ricerca “Dopo il diploma” di Skuola.net ed Elis. Nonostante i timori, però, sono ancora una minoranza coloro che si stanno formando per essere pronti alla sfida dell’AI, con una netta prevalenza della componente maschile e di quanti provengono da contesti familiari privilegiati, come sottolinea l’edizione 2024 della ricerca, realizzata su un campione di 2.500 alunni delle scuole superiori e presentata in occasione della Elis Open Week, evento di orientamento organizzato per avvicinare gli studenti alle aziende leader nei settori tecnico-tecnologici.
Scuola, Intelligenza Artificiale: il nuovo timore dei giovani
“Il timore davanti a una profonda trasformazione tecnologica come l’Intelligenza Artificiale è alimentato anche dalla mancanza di competenze - osserva Pietro Cum, Amministratore Delegato Elis -. La formazione che ricevono i giovani riguarda spesso nozioni del passato e l’orientamento che dovrebbe spalancare le finestre sul futuro soffre di un sistema dell’istruzione che fa ancora fatica a dialogare con il mondo esterno e le sue rapide evoluzioni. Nella nostra esperienza, tuttavia, collaborando con scuole, istituzioni e imprese, constatiamo che la voglia di cambiare c’è. Potenziare le attività di orientamento e la formazione sulle cosiddette materie STEM sono obiettivi fondamentali sui quali continuare a lavorare”.
L’innovazione, almeno in ottica lavorativa, non è vista dalle nuove generazioni come un’alleata ma come un nemico. Per una porzione importante degli studenti intervistati (27%) ci sono alte probabilità che l’intelligenza artificiale possa mettere i bastoni tra le ruote nel percorso verso la realizzazione personale. E un non trascurabile 8% parte già sconfitto, considerando una certezza il fatto di dover rinunciare ai sogni di gloria per colpa dell’AI. Solo un quinto (19%) non teme per la sua occupabilità in un avvenire dominato dall’intelligenza artificiale. Più nello specifico, a mostrare le preoccupazioni maggiori sembrano essere i maschi, forse perché sono quelli più orientati verso settori tecnici: qui gli sfiduciati, totali o parziali, superano il 40%, quando tra le ragazze si resta poco sotto la media (33%).
Un timore, quello legato a un uso massiccio di tecnologia da parte di aziende e imprese, che non riguarda però solo le prospettive individuali. Per molti è da estendere all’intero sistema produttivo: per un intervistato su 4 ogni settore è a forte rischio, mentre circa il 30% pensa che problemi ci saranno, ma solo i comparti più votati al digitale potrebbero fare sempre più a meno delle persone in carne ed ossa. Va detto, comunque, che la maggior parte del campione pensa sia ancora presto per un cambiamento radicale e il 37% crede che molte attività richiederanno ancora a lungo la mano dell’uomo.
In ogni caso, in base a questa lettura, dopo il diploma e l’eventuale formazione post-scolastica ci sarà da lottare per ottenere un lavoro, tuttavia soltanto un terzo degli studenti (34%) utilizza sempre o molto spesso quegli strumenti di intelligenza artificiale generativa, come ad esempio Chat GPT, di cui è piena la Rete: addirittura uno su 4 non li ha mai provati.
Tra “smanettare” e saper usare, poi, ce ne passa. Lo sa bene quel 28% che si informa con una certa assiduità sui progressi compiuti dal machine learning, leggendo articoli o seguendo corsi e tutorial online. In questo, i ragazzi si sforzano decisamente di più delle ragazze: tra i primi, a prepararsi sull’AI sono il 37%, contro il 22% del campione femminile. Ma anche il contesto familiare fa la differenza: il 46% degli studenti provenienti da famiglie agiate si sta formando su prompt e affini, contro il 30% di coloro che provengono da contesti più umili.
Tutt’altro approccio è invece quello adottato dai lavoratori di domani al cospetto dei “colleghi” di altri Paesi, specialmente se migranti o in fuga da contesti geopolitici critici. “Ci vengono a rubare il lavoro”, si sente spesso recriminare da parte degli adulti. Ma per i ragazzi è l’esatto contrario: solo l’8% vive con la preoccupazione che il multiculturalismo possa peggiorare le prospettive occupazionali degli italiani, in ogni settore. Per tanti altri (44%) la minaccia potrebbe valere giusto per compiti a bassa specializzazione. La maggior parte degli intervistati (48%) pensa invece che, a prescindere dagli stranieri, con costanza e impegno un buon lavoro si può sempre trovare. Infatti, per oltre 7 intervistati su 10 queste persone possono aiutare l’intera economia, portando a un arricchimento in termini di visione e modalità operative, che possono “migliorare” anche noi. Per il 16% sono addirittura una necessità, svolgendo quei lavori che noi non vogliamo più fare.
Di sicuro, i nostri studenti saranno sempre più chiamati a confrontarsi, in un mondo globale e tecnologico, con colleghi di lavoro “artificiali” o di matrice culturale diversa dalla propria. Per questo è fondamentale che acquisiscano skills adeguate fin dai banchi di scuola. Per sviluppare queste sensibilità, però, servirebbero attività di orientamento efficaci, che spesso non ci sono: solo uno studente su 5, tra quelli intervistati, sostiene di essere pienamente orientato su cosa fare dopo il diploma.