La strana 'vittoria' elettorale di Matteo Salvini
- di: Redazione
Per avere un governo nella pienezza delle sue prerogative costituzionali - le sole che contano, qualcuno lo dovrebbe ricordare ogni tanto - bisognerà aspettare ancora un po', quando, eletti i presidenti di Camera e Senato, partirà ufficialmente la nuova legislatura e, con essa, il (probabilissimo) tentativo di Giorgia Meloni di formare un governo.
Se ci si limitasse a guardare i numeri, la strada del presidente di Fratelli d'Italia dovrebbe essere in discesa. Ma a volta i numeri non dicono tutto perché, se dietro di essi ci sono uomini o donne, con il loro pregresso di speranze, ambizioni, aspirazioni, le cose potrebbero complicarsi. E di parecchio, come, al di là dell'ottimismo comunque contenuto di Giorgia Meloni, sembra si stia manifestando in questa delicata fase della politica.
Matteo Salvini si trova nella coalizione vincente ma da "sconfitto"
Meloni ha tutte le carte migliori in mano, ma, da esperta politica, sa benissimo che imporre le proprie idee ad alleati che sono sempre stati recalcitranti, quando si è trattato di riconoscerne la leadership in seno alla coalizione, potrebbe alla fine logorare l'accordo. Anche perché Lega e Forza Italia rivendicano considerazione (e quindi ministeri) forse in quantità maggiore rispetto all'esito effettivo delle elezioni.
Silvio Berlusconi, pur davanti ad un costante calo di consensi che va avanti dal 2013, chiede per sé il ruolo di regista della coalizione, sulla base della considerazione che ha di sé stesso e non certo per il contributo numerico portato alla coalizione. D'altra parte la situazione dei seggi del Senato impone al centrodestra di essere sempre compatto perché se uno dei contraenti del patto di governo dovesse sfilarsi, anche solo su un solo provvedimento, le conseguenze potrebbero essere gravissime.
Quindi Berlusconi si accredita di un ruolo che nessuno degli alleati vuole riconoscergli, ma che lui persegue con determinazione, quasi che il suo gruzzolo di voti e parlamentari lo autorizzi a chiedere la luna.
Ben diverso è l'approccio alla trattativa per la formazione del prossimo governo che sta avendo Matteo Salvini, che si trova in una posizione a dir poco scomoda, perché letteralmente sotto attacco e difeso solo da un gruppo di fedelissimi che gli perdona tutto.
La delicatezza del momento che il segretario della Lega sta attraversando emerge con chiarezza nelle sue ultime esternazioni, che come sempre insistono sugli stessi argomenti, ma che appaiono avere perso forza, quasi che Salvini stia pagando la tensione del momento.
In uno dei suoi ultimi video, Salvini si è, come sempre, celebrato, alimentando il suo personaggio mediatico che tanto gli ha dato in termini di consenso. Ma se in precedenza incentrava le sue dichiarazioni su argomenti concreti (sulla cui fondatezza in molti dissentono, e non solo tra gli avversari politici) ora si trova quasi costretto a negare una evidenza che per lui è bruciante. Perché, nel video in questione, ha celebrato i due milioni e mezzo di voti ottenuti dalla Lega, come un risultato strepitoso.
I numeri dovrebbero parlare da soli, ma non per Salvini, al quale ne vorremmo proporre alcuni: 4,1 - 6,2 - 17,2 - 34,2 - 8,8. Sono le percentuali ottenute dalla Lega nelle varie elezioni (politiche 2013; europee 2014; politiche 2018; europee 2019; politiche 2022) che, se sottolineano una crescita dal 2013 al 2019, certificano un crollo verticale in quelle dello scorso 25 settembre. In termini assoluti, pur se le elezioni non sono mai omogenee, la Lega ha perso milioni e milioni di voti, cosa di cui Salvini sembra non accorgersi o non volersene accorgere.
Ma Salvini ha altri fronti aperti che non quelli con l'aritmetica. L'idea di Umberto Bossi, ripescato al senato all'ultimo istante, di rilanciare il dibattito sulla territorialità della Lega, davanti al fallimento del progetto salviniano del partito nazionale, forse non sarà foriera di stravolgimenti in seno al movimento, ma potrebbe essere qualcosa di cui tenere conto nell'immediato futuro.
Perché in quelli che erano considerati i bastioni della Lega (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia) il movimento è uscito con le ossa rotte nel confronto con Fratelli d'Italia, con differenze in termini percentuali a dir poco imbarazzanti. Con ogni probabilità la Lega non tornerà al modello di un tempo, ma se si dovesse aprire un dibattito interno, esso potrebbe avere esiti non graditi a Salvini, non in termini di saldezza della sua segreteria, quanto perché parlare di modelli di partito alla fine lo indebolirebbe, anche se in maniera lieve.
Un rischio che non può correre anche perché alcune delle categorie di riferimento nel Nord leghista sembrano avere girato le spalle al partito di Salvini preferendo la sbandierata concretezza di Fratelli d'Italia. Se gli industriali e le Pmi non la sosterranno più, la Lega rischia un bagno di sangue, che nemmeno una eventuale vittoria di Fontana alle regionali lombarde (anche se la mina vagante della candidatura di Letizia Moratti è in agguato) riuscirebbe ad alleviare.