Sabrina Salerno si siede nello studio di Belve con l’eleganza disarmante di chi ha imparato presto che la vita non è uno spettacolo, ma una serie di prove tecniche senza copione. E lei, di copioni, ne ha dovuti improvvisare parecchi. La sua ironia è il filtro naturale di chi ha sofferto abbastanza da potersi permettere di ridere, ma non abbastanza da dimenticare.
Sabrina Salerno, ironia contro tutto
Racconta un’infanzia fatta di spostamenti emotivi più che geografici: una bambina cresciuta da una zia anziana, una madre troppo giovane per esserlo davvero, e un padre che entra in scena come un personaggio secondario che non è mai riuscito a sostenere il ruolo. Sabrina non cerca scuse, non costruisce drammi: espone la sua storia con la sincerità di chi non vuole più proteggere nessuno, se non se stessa.
La telefonata fatta da ragazzina a quell’uomo che le aveva dato la vita suona ancora come una richiesta semplice, quasi infantile: “Voglio solo sapere chi sono”. In risposta, trova un muro di imbarazzo, di convenienza, di silenzi. Eppure, invece di chiudersi, cresce. Diventa forte, forse troppo presto. Diventa madre senza essere figlia, diventa donna in un mondo che la guarda più di quanto la ascolti.
Poi arriva il successo. Una valanga. Un’etichetta: sex symbol, come se tutto ciò che c’era prima – insicurezze, timidezza, fragilità – dovesse sparire per decreto mediatico. La “sabrinite” esplode, e lei si ritrova regina delle classifiche mentre ancora cerca di capire dove mettere i piedi nella vita vera. Ma la sua ironia la salva: sa di essere percepita come sfrontata, quando in realtà è solo una ragazza che prova a sopravvivere al clamore.
Nel racconto del test del DNA, però, l’ironia si assottiglia. Lì c’è una donna che non accetta più bugie, che non tollera che la sua verità venga trattata come una leggenda metropolitana. Una donna che, a 44 anni, decide di fare ciò che nessuno aveva fatto per lei: riconoscere se stessa. E che, davanti all’ennesima richiesta di silenzio, risponde con maturità, non con paura.
Perché il perdono non è debolezza: è potere. E Sabrina lo esercita con grazia, senza rabbia, senza vendetta. Piange, sì, ma non si spezza. Le lacrime non cancellano la forza, la definiscono.
E mentre smentisce con leggerezza i presunti flirt del passato, si percepisce la consapevolezza di una donna che ha imparato a convivere con ciò che gli altri hanno voluto vedere in lei. La bellezza come maschera, la fama come corazza, il dolore come maestro.
Alla fine, Sabrina Salerno appare così: una donna che ha sofferto senza smettere di brillare. Che ha riso per difendersi e parlato per liberarsi. Che oggi, davanti a un pubblico intero, ha finalmente il coraggio di essere se stessa — ironica, vulnerabile, indomita.
Una belva? Forse. Ma soprattutto una donna che, contro tutto, ha scelto di restare in piedi.