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Rubio licenzia la diplomazia Usa: via il 15% dei funzionari

- di: Marta Giannoni
 
Rubio licenzia la diplomazia Usa: via il 15% dei funzionari
Rubio licenzia la diplomazia Usa: via il 15% dei funzionari
Trump smantella il multilateralismo: “Basta ambasciate inutili”. Ma il mondo si riempie di silenzi. La nuova dottrina è deterrenza senza dialogo. Xi e Putin ringraziano.
 
(Foto: il Segretario di Stato, Marco Rubio).

Diplomazia sotto assedio: licenziati 1.800 funzionari

Con un atto politico dirompente, l’amministrazione Trump ha deciso di decapitare il Dipartimento di Stato. Il 15% del personale – circa 1.800 funzionari – sarà tagliato entro l’autunno. Lo ha rivelato un documento interno firmato da Michael Rigas, vice segretario alla gestione e alle risorse. Il tono è gelido: “Ringraziamo per il servizio reso alla nazione. Saranno contattati nei prossimi giorni”. Dietro la formula burocratica si nasconde un chiaro intento politico: ridurre al silenzio la diplomazia Usa, tagliando personale, fondi, memoria e visione.

Rubio alla guida del repulisti: “Meno ideologia, più America”

Il vero regista della svolta è Marco Rubio, senatore della Florida, oggi principale architetto della nuova ortodossia trumpiana. “Serve un Dipartimento più snello, meno ideologico, più vicino agli interessi veri degli americani”, ha dichiarato. Il suo piano, definito “riforma patriottica”, prevede la chiusura delle ambasciate “non strategiche”, il taglio netto ai fondi per la cooperazione multilaterale e il rientro in patria di centinaia di diplomatici. Meno compromessi, più deterrenza. Meno mediazione, più forza. È la diplomazia ridotta a proiezione muscolare, senza spazio per il dialogo.

Dopo Blinken, la diplomazia diventa obbedienza

Il terreno era già stato preparato. Antony Blinken era stato silurato a gennaio per “scarsa sintonia strategica”. Da allora, il Dipartimento è stato svuotato di competenze, esperienze, relazioni. “Chi non è allineato viene spinto fuori”, ha detto un ex ambasciatore. “È in corso una purga silenziosa”. Al suo posto è stato chiamato Richard Grenell: ex ambasciatore in Germania, già fedelissimo di Trump. Il suo mandato è chiaro: “Basta ONG, basta ambasciate ornamentali. Servono strutture patriottiche, totalmente fedeli al presidente”.

Reti diplomatiche scoperte: vuoti a Washington, opportunità per Pechino

Il tempismo è drammatico. Mentre il mondo si infiamma – Iran e Israele in guerra, la Russia aggressiva in Ucraina, la Cina espansiva in Africa ed Europa – gli Stati Uniti smantellano la propria rete diplomatica. Più di 50 ambasciate Usa sono attualmente senza un ambasciatore. In molti casi sono guidate da funzionari ad interim senza poteri reali. “Il Dipartimento di Stato è ormai un fantasma”, ha commentato un’ex funzionaria. Stiamo smantellando la diplomazia proprio quando servirebbe di più.

Le reazioni: “Un diplomaticidio su vasta scala”

La reazione degli ex vertici è furiosa. Wendy Sherman parla di “purga mascherata da riforma”. Il Partito Democratico grida al “diplomaticide”. Anche nell’area conservatrice, qualcuno si smarca: “La diplomazia è parte della forza di un Paese, non il suo contrario”, scrive The American Conservative. L’AFSA, sindacato dei diplomatici Usa, ha chiesto l’intervento immediato del Congresso. Denuncia “una perdita di capitale umano senza precedenti, che avrà conseguenze irreparabili sulla sicurezza nazionale”.

Il silenzio della maggioranza e l’ultima voce di Romney

Da Capitol Hill tutto tace. La maggioranza repubblicana allineata a Trump non alza un dito. Solo poche voci isolate si fanno sentire. Tra queste, quella del senatore moderato Mitt Romney: “Rinunciare al dialogo significa rinunciare alla leadership. Questa non è riforma, è resa”.

Xi Jinping e Putin avanzano

Mentre Washington si ritira dal mondo, altri si muovono. “Questo è un regalo per Xi Jinping e Vladimir Putin”, ha dichiarato un analista. Quando l’America si ritira, altri si fanno avanti. Per Pechino, è l’occasione perfetta per estendere la propria influenza. Per Mosca, una conferma che l’Occidente è diviso e debole. Entrambi approfittano del vuoto lasciato da Washington per allargare le proprie sfere di influenza.

Addio alla dottrina liberale: ora comanda il muscolo

Il segnale è inequivocabile. Gli Stati Uniti stanno abbandonando l’idea stessa di diplomazia come strumento di potere. Una dottrina che per decenni ha sostenuto la leadership americana attraverso alleanze e accordi multilaterali. Al suo posto, si afferma la logica della forza, del comando, dell’obbedienza interna. Ma questa strategia è fragile. Perché in un mondo interconnesso, chi non parla, non conta. E chi non ascolta, è destinato all’isolamento.

Diplomazia non è debolezza: è potere intelligente

Trump e Rubio trattano la diplomazia come un peso morto. In realtà, è sempre stata uno degli strumenti più potenti dell’arsenale americano. Dalla Guerra Fredda all’accordo sul nucleare iraniano, dalla Nato alle Nazioni Unite, è stata la rete diplomatica Usa a garantire equilibrio e influenza. Ridurla a una macchina di fedeltà interna significa distruggere una leva strategica. Come ha ricordato Madeleine Albright: “Quando gli Stati Uniti non siedono al tavolo, non ci sono più regole. Solo appetiti”.

Il prezzo del silenzio: quando non si parla, si combatte

Chi crede che il dialogo sia un lusso, si sbaglia. È un’arma. La diplomazia previene conflitti, crea opportunità, costruisce fiducia. Senza di essa, restano solo i droni, i dazi e le minacce. Ma i muscoli non bastano a sostituire la leadership. E l’America, oggi, rischia di scoprirlo nel modo peggiore: tacendo, si fa da parte. E il mondo non aspetta.

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