Rete unica: Il Governo dice di no e Tim crolla in Borsa

- di: Redazione
 
È forse bastata una sola frase, poche parole gettate lì, nell'arido linguaggio che solo il sommarsi della politica e della finanza riesce a creare, per mandare all'aria il progetto di rete unica in Italia. È quindi saltato il sogno di pochi (qualche ministro del precedente governo e chi, la Tim, azienda leader in Italia nel settore delle comunicazioni, ci ha sperato sino ad oggi) che era ragionevole pensare che non potesse approdare a nulla, essendo la sua anima e le sue finalità in netto contrasto, oltre che con la logica, anche con regole della concorrenza, in Italia e nell'Ue.

Eppure questo progetto - che sembrava ignorare quanto di buono il regime di competizione di questi ultimi anni abbia portato al Paese - è stato sostenuto e portato avanti, nonostante il fatto che la ragionevolezza indicasse l'opportunità di fermarlo. Le poche parole cui si faceva riferimento sono quelle che, dice oggi Repubblica, sono contenute a pagina 98 del Recovery plan di casa nostra e recitano testualmente: ''L'Intervento del Pnrr si colloca nel solco degli sfidanti obiettivi definiti in sede europea e nella consapevolezza che le reti a banda larga ultraveloce sono una General purpose Technology'', ovvero non finalizzate a esigenze particolari. ''Reti a banda larga'', si legge e forse qualcuno avrebbe voluto leggere ''rete a banda larga'' per fare di un sogno egemonico una realtà, piuttosto che "reti a banda ultralarga", cioè FTTH.

Quali che siano le speranze e le prospettive dei grandi manager di questo settore, appare abbastanza evidente - a meno che non si speri in un macroscopico errore di trascrizione, abbastanza improbabile in un atto ufficiale del governo - che il ricorso al singolare quando si parla di reti a banda larga dà l'idea di una linea ben precisa, che non contempla che, per dare sfogo ai sogni di gloria di qualcuno, si uccida in culla il principio della concorrenza.

Questa interpretazione dell'atto di indirizzo che il governo ha voluto chiarire è giunta come una bomba negli ambienti finanziari che comunque erano (quasi) tutti consapevoli che il quadro generale regolato dalla legge sulla concorrenza non poteva essere stravolto per dare soddisfazione a qualche manager ed a quei personaggi di recente arruolamento nella politica che lo hanno blandito ed affiancato.

Per questo non ha certo sorpreso che la Borsa abbia reagito in modo coerente alla linea assunta dal governo, facendo sì che, nelle prime battute delle contrattazioni, il titolo Tim - che ha perseguito con ferocia la rete unica e, quindi, la fusione conOpen Fiber e la sua tecnologia - sia collassato, lasciando sul campo il 9 per cento del valore che aveva ad inizio seduta.

Quale potrebbe essere lo scenario prossimo futuro è tutto da immaginare perché non c'è niente di più volatile della finanza che deve, suo malgrado, prendere atto dei suoi errori. Di certo Tim ed il suo ad Luigi Gubitosi (che appena pochi giorni fa aveva voluto dire la sua sul tema che gli sta tanto a cuore, sostenendo che "L'incremento da parte di Cassa Depositi e Prestiti in Open Fiber dovrebbe facilitare i negoziati per l'eventuale integrazione con gli asset di rete fissa di Telecom Italia") ora dovranno prendere atto di quanto accaduto ed assumere le conseguenti determinazioni.

In ogni caso la linea definita dal governo mette fine a tutte le voci, artatamente sostenute e veicolate, che volevano vincente l’ipotesi di rete unica, verticalmente integrata, come inevitabile, perché la soluzione migliore. Cosa che non era prima e certo non lo è a maggior ragione oggi, con la nuova guida politica del Paese che ha messo un masso lungo il corso del fiume delle decisioni avventate.
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