Rai: per il nuovo Amministratore Delegato Rossi il duro compito di rilanciare l'azienda

- di: Redazione
 
Dopo una ''gestazione'' lunghissima - i molti mesi passati dall'avvio della diarchia con Roberto Sergio - Giampaolo Rossi è approdato alla poltrona di Amministratore Delegato della Rai e lo fa in un momento molto delicato per l'azienda che, da servizio pubblico, è da tempo nel mirino delle critiche, non solo da chi, politicamente, è della parte avversa alla maggioranza di governo.
Su Rossi, che ha spalle larghe per una lunga esperienza, con molti e prestigiosi incarichi direttivi nel settore della comunicazione, soprattutto quella che usa lo strumento delle immagini, grava oggi un peso enorme perché la Rai, la maggiore industria culturale del Paese (anche se questa definizione cozza e non poco con la qualità dell'offerta che arriva dalle sue trasmissioni), soffre di molti mali. A cominciare dal fatto che i numeri elefantiaci dei suoi organici poi non trovano rispondenza nelle proposte.

Rai: per il nuovo Amministratore Delegato Rossi il duro compito di rilanciare l'azienda

Giampaolo Rossi, al di là delle sue idee politiche e delle scelte che ne conseguiranno, è certamente consapevole che da lui tutti, a cominciare dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che lo ha fortemente sostenuto, si aspettano non tanto una impronta prettamente politica, quanto una azione incisiva, che riporti la Rai ad essere il punto di riferimento del Paese, con proposte originali e che quindi non siano la scopiazzatura di modelli di televisione commerciale che, per definizione, insegue i numeri dell'audience, non pensando molto alle derive culturali.

Cosa che invece sta accadendo da alcuni anni in cui ad essere ''copiati'' o ''ispirati'' sono stati modelli, proposti dalle televisioni commerciali, pensati e realizzati per rastrellare numeri e non certo pensando alla qualità, alla cultura, alla proposta innovativa che, per chi deve pensare al profitto, sono elementi marginali della strategia.

Una situazione che ha come conseguenza il fatto che che fasce molto importanti, ai fini dell'audience, sono impegnate nelle reti, pubblica e commerciali, da trasmissioni in fotocopia, in cui a prevalere non è la proposta per accrescere la fame di cultura o anche di semplice informazione, quanto la sete di ''sangue'', di episodi efferati, quelli su cui fare parlare qualcuno presentato come esperto o come semplice opinionista, anche se magari, nella vita di tutti i giorni, si occupa di cose completamente diverse. E quella ''tv del dolore'', come è definita da una azzeccata immagine, che tracima ovunque e che forse ha riscontro in cui sta davanti allo schermo solo per saziare la sua fame quotidiana di orrore che si traduce nel fatto che, nelle stesse ore, negli stessi minuti, le ''ammiraglie'' di Rai e Mediaset parlano dello stesso fatto, intervistando le stesse persone, provocando un effetto straniante per chi vi si imbatte.

Se questo è comprensibile in chi fa televisione per guadagnarci, non lo si può accettare da chi, con il Paese intero, è legato con un contratto di servizio che ha onori, ma anche incombenze.
Non è certo riproponibile il modello di quando la Rai era la sola protagonista dell'etere e che, quindi, poteva proporsi come motore dapprima dell'affrancamento del Paese dalla piaga dell'analfabetismo, quindi, del suo traghettamento verso forme del sapere più confacenti alla crescita culturale. Non proponibile per le leggi della concorrenza, ma che non deve essere un tabù, evitando di confinare la cultura nella riserva indiana della terza rete, per farne una caratteristica delle proposte dell'azienda. Un obiettivo che è lecito aspettarsi dal nuovo amministratore delegato, anche perché Giampaolo Rossi è un intellettuale, nel senso migliore del termine, che sa benissimo che un Paese può crescere grazie anche alla conoscenza.
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