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Guerra, Putin accusa il conto duro: l’economia spiega i suoi zigzag

- di: Matteo Borrelli
 
Guerra, Putin accusa il conto duro: l’economia spiega i suoi zigzag
Putin e il conto della guerra: l’economia spiega i suoi zigzag

Il Cremlino alza e abbassa il volume sulla pace come una manopola: a dettare il ritmo sono inflazione, tassi e soldi dell’energia, non i colpi di scena. 

Se negli ultimi mesi Vladimir Putin è sembrato oscillare tra aperture e muri su una possibile trattativa per l’Ucraina, non è un capriccio di comunicazione. È un segnale: la Russia sta scoprendo che la “resilienza” sbandierata in tv ha un prezzo crescente, e quel prezzo si misura in tassi d’interesse, entrate fiscali e fiato corto delle imprese. La diplomazia, in questo quadro, diventa una leva per comprare tempo — o sconti — mentre la macchina economica prova a non surriscaldarsi.

Il primo campanello: la banca centrale abbassa i tassi, ma non la guardia

Il 19 dicembre 2025 la Banca di Russia ha tagliato il tasso di riferimento al 16%, spiegando che alcune misure di inflazione “di fondo” hanno rallentato, ma che le aspettative restano nervose e il credito continua a correre. È un taglio che sa di cautela: non è un “via libera” alla crescita, è un tentativo di evitare che la stretta monetaria soffochi l’economia proprio mentre il bilancio pubblico è sotto tensione.

La governatrice Elvira Nabiullina, secondo resoconti internazionali, ha chiarito che sul tavolo c’erano opzioni diverse e che i falchi non sono spariti. “Abbiamo considerato tre opzioni: invariato, -0,5 e -1 punto”. Traduzione: l’istituto centrale si muove, ma con il freno a mano tirato, perché un rimbalzo dei prezzi nel 2026 (tasse e tariffe) è uno scenario che nessuno al Cremlino può permettersi di ignorare.

Il secondo campanello: entrate energetiche giù, e il bilancio perde elasticità

Il punto non è solo “quanto cresce il Pil”, ma da dove arrivano i soldi. L’energia resta un pilastro del gettito federale e della disponibilità di valuta. E qui i numeri diventano politicamente esplosivi: a fine 2025 varie stime e calcoli citati dalla stampa economica indicano che le entrate da petrolio e gas hanno registrato calo marcato rispetto all’anno precedente, fino a livelli descritti come “quasi dimezzati” in dicembre.

In parallelo, la pressione delle sanzioni continua a mordere la capacità di Mosca di espandere (o anche solo rendere “normali”) alcune filiere energetiche: il governo russo ha riconosciuto ritardi sul fronte del GNL, proprio perché tecnologia e logistica restano un collo di bottiglia. Meno crescita dell’energia significa meno margine per finanziare tutto il resto senza dolore.

Il terzo campanello: rublo “troppo forte”, esportatori irritati, Stato costretto a intervenire

Un paradosso tipicamente russo: nel 2025 il rublo si è rafforzato in modo consistente anche grazie a interventi pubblici sul mercato valutario. Per i consumatori può suonare come una buona notizia; per gli esportatori è spesso l’opposto, perché taglia i ricavi in valuta locale mentre costi e salari corrono. E quando le imprese si lamentano, Mosca ascolta: la stabilità sociale passa anche dalla tenuta del settore privato “patriottico”.

La banca centrale ha annunciato che dal 2026 ridurrà le vendite giornaliere di valuta (e, nel complesso, anche le operazioni pubbliche collegate scendono), un segnale che può tradursi in meno sostegno artificiale al rublo e dunque in un respiro per gli esportatori — ma anche in nuove pressioni inflazionistiche. È una coperta corta: se copri le aziende, rischi di scoprire i prezzi al dettaglio.

Imprese e credito: quando la guerra entra nei bilanci aziendali

L’economia di guerra ha fatto girare fabbriche e commesse, ma ha anche innescato squilibri: carenza di manodopera, strozzature logistiche, dipendenza da importazioni “di rimbalzo”. In dicembre, analisi su salari e annunci di lavoro hanno segnalato un rallentamento della crescita retributiva e un raffreddamento dell’impulso iniziale della spesa bellica.

Sul fronte bancario, la fotografia è ambivalente: i grandi istituti rivendicano utili e solidità, ma cresce l’attenzione sulle ristrutturazioni del debito corporate. In altri termini: non è (ancora) crisi sistemica, però il sistema si sta adattando a un’economia meno euforica e più “contabilizzata”. Nabiullina ha insistito sul fatto che il peso dei prestiti deteriorati resta contenuto; le banche, però, cominciano a parlare più spesso di accordi e rimodulazioni con i clienti.

Il vertice con i big dell’industria: la pace come variabile economica

È dentro questo scenario che va letto il rituale incontro di fine anno tra Putin e i vertici del mondo produttivo. Il tema ufficiale è sempre lo stesso — investimenti, credito, cambio, sostituzione delle importazioni — ma il sottotesto nel 2025 è diventato più netto: quanto costa continuare così? e quanto conviene riaprire canali?

Non a caso, resoconti giornalistici basati su indiscrezioni e ricostruzioni hanno riportato che, in quel contesto, Putin avrebbe lasciato intendere una possibile disponibilità a ragionare su scambi territoriali “parziali” in un futuro accordo, ribadendo però linee rosse su aree considerate irrinunciabili. È la definizione perfetta del momento russo: concedere margini tattici per proteggere gli obiettivi strategici.

E c’è un dettaglio che vale più di mille dichiarazioni: se il Cremlino porta questi temi davanti agli industriali è perché ha bisogno che il settore privato resti operativo, investa, paghi salari e tasse, e mantenga una normalità minima. La guerra può essere “lontana” in tv; in contabilità, non lo è mai.

Perché Putin alterna disponibilità e inflessibilità

Il copione è ormai riconoscibile: apertura quando serve ridurre pressione finanziaria, raffreddare mercati, sgonfiare aspettative di nuove sanzioni o ottenere spazi negoziali; rigidità quando bisogna compattare il fronte interno, rassicurare l’apparato securitario e impedire che l’idea di “compromesso” diventi percepita come debolezza.

Putin stesso, durante la sua lunga sessione pubblica di fine anno, ha riconosciuto il rallentamento della crescita e ha provato a rassicurare sul percorso dell’inflazione. Ma anche qui la crepa è evidente: tra statistiche ufficiali e spesa reale delle famiglie c’è sempre uno scarto politico. “L’inflazione scenderà… ma capisco che la gente non si fidi”. Quando un leader ammette il problema della fiducia nei numeri, sta dicendo che il tema prezzi è diventato sensibile.

Il 2026 come prova del nove

Il 2026 si profila come l’anno in cui le variabili economiche potrebbero pesare ancora di più sulle scelte politiche: meno supporto al rublo, possibili aumenti fiscali o tariffari, entrate energetiche incerte e bisogno di finanziare una spesa militare che ha già ridisegnato le priorità di bilancio. Più la coperta si accorcia, più la “pace” diventa una parola da usare come leva — non necessariamente come traguardo immediato.

Per questo la lettura più realistica è netta: Putin non sta cambiando carattere, sta cambiando margine di manovra. E quando il margine si restringe, anche il Cremlino — che detesta ammetterlo — è costretto a negoziare con la realtà.

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