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La separazione delle carriere tra Sisto e De Raho: chi dice la verità?

- di: Bruno Coletta
 
La separazione delle carriere tra Sisto e De Raho: chi dice la verità?
Separazione delle carriere, Sisto e De Raho divisi sulla giustizia

Scontri sul palcoscenico della riforma: da una parte il viceministro esalta imparzialità e trasparenza, dall’altra l’ex procuratore lancia l’allarme su controllo politico e caos giudiziario.

La riforma della giustizia è tornata al centro del dibattito politico italiano, e a incendiare il confronto ci pensano due figure emblematiche: da un lato Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia in quota Forza Italia, dall’altro Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia oggi deputato del Movimento 5 Stelle. I due non potrebbero essere più lontani per visione e toni: il primo rivendica una riforma “logica e costituzionale”, il secondo denuncia “un attacco scomposto e sistematico alla magistratura”.

Sisto: “Separare giudici e pm è buon senso, non vendetta”

“Mel Brooks la definirebbe una balla spaziale”: così Sisto liquida le accuse secondo cui la riforma sarebbe punitiva verso la magistratura. Per il viceministro, l’obiettivo è esattamente il contrario: restituire credibilità e fiducia alla giustizia italiana, e rafforzare – non indebolire – la figura del giudice. “La geometria costituzionale è pienamente rispettata”, afferma. “Avere giudici e pm separati è questione di pura logica, già discussa ai tempi della Costituente”. E per rafforzare la legittimità storica della riforma, cita personalità come Matteotti, Moro e Falcone.

Sisto ha insistito sul fatto che la riforma non è bloccata, malgrado oltre mille emendamenti presentati dalle opposizioni. Se l’ostruzionismo dovesse continuare, il governo procederà comunque al voto in Aula. Il testo, del resto, è stato già blindato: al Senato non è stato accettato nemmeno un emendamento.

Il viceministro sottolinea anche un altro aspetto cruciale: il sorteggio dei togati al CSM. “Non è il massimo, certo, ma è una risposta necessaria all’opacità delle correnti. Oggi se un magistrato vuole fare carriera deve affidarsi a un gruppo di potere: è inaccettabile”. L’obiettivo dichiarato è quello di liberare la magistratura da logiche di cooptazione, garantendo imparzialità e terzietà attraverso la netta divisione tra chi indaga e chi giudica. E non manca neppure la metafora calcistica: “Avete mai visto un arbitro della stessa città di una delle due squadre?”

De Raho: “Così si vuole addomesticare la magistratura”

Tutt’altra la visione di Federico Cafiero De Raho, che affida una durissima requisitoria contro il governo Meloni. Per l’ex procuratore, la separazione delle carriere non è affatto neutrale, ma ha un obiettivo chiaro: “rendere mansueti i magistrati, condizionarne l’operato e ridurre la legalità a un orpello, se non addirittura a un ostacolo”.

Nel suo elenco delle misure incriminate ci sono l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, la riduzione del traffico di influenze, la quasi reintroduzione della prescrizione e il ridimensionamento dello strumento delle intercettazioni. Ma soprattutto, De Raho accusa la maggioranza di avere introdotto oltre 50 nuovi reati che ingolfano i tribunali, e alcuni dei quali – a suo dire – limitano la libertà di espressione e il diritto di dissenso. “Il governo si mostra forte con i deboli e debole con i forti”, denuncia.

Dal suo punto di vista, non si tratta affatto di una riforma tecnico-costituzionale, ma di un disegno politico organico. Un attacco durissimo, prolungato nel tempo, volto a intimidire i pubblici ministeri, mettere sotto scacco le indagini più scomode e ridurre al silenzio stampa e opinione pubblica. “Negli ultimi due anni abbiamo assistito a pressioni senza precedenti: istituzionalmente inquietanti”, afferma De Raho. E accusa: “Questo governo vuole la supremazia della politica sulla giustizia. Vuole garantire impunità ai colletti bianchi”.

Due visioni inconciliabili

Il contrasto tra Sisto e De Raho non è semplicemente ideologico: è paradigmatico. Per il primo, separare le carriere rafforza la terzietà, elimina conflitti d’interesse e permette finalmente di affrontare il problema delle correnti nella magistratura. Per il secondo, si tratta invece di un attacco alla struttura stessa dell’indipendenza giudiziaria, funzionale a un disegno autoritario e accentrato.

Sisto invoca la tradizione costituzionale, il confronto tra poteri, l’uguaglianza tra accusa e difesa come garanzia per il cittadino. De Raho parla di controllo politico, di sistemi pensati per “impedire” piuttosto che “proteggere”, e di una strategia per spegnere il potere investigativo della magistratura su corruzione e malaffare.

E ora? Verso il referendum

Intanto, la macchina parlamentare va avanti. Dopo l’approvazione del testo in Senato, la riforma è attesa al secondo passaggio alla Camera. Se non otterrà la maggioranza qualificata dei due terzi, sarà inevitabile il referendum confermativo, previsto nella primavera del 2026. Il governo vorrebbe chiudere tutto prima della legge di Bilancio e del rinnovo del CSM nel 2027.

Il prossimo anno, dunque, saranno i cittadini a decidere. E il referendum rischia di trasformarsi in uno scontro politico frontale tra chi chiede più indipendenza per i giudici e chi, invece, li vuole più “governabili”. A pesare saranno anche i toni usati finora: l’ironia feroce di Sisto, la durezza indignata di De Raho. Due stili, due mondi, due idee radicalmente diverse di giustizia.

Un referendum tra principio e potere

In gioco non c’è solo un dettaglio tecnico del funzionamento giudiziario, ma un’idea di democrazia. Sisto difende la riforma come un passo avanti nel nome della trasparenza. De Raho la considera un tentativo di restaurazione autoritaria. Entrambi parlano di Costituzione, entrambi evocano il rispetto per il cittadino. Ma il primo guarda all’efficienza, il secondo teme la sopraffazione. Resta da capire, al momento del voto, quale delle due visioni conquisterà la fiducia dell’elettorato.

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